martedì 24 giugno 2014

Viaggio in Russia: la Zigulì del nostro agente al Cremlino

3) Domenica in tarda mattinata avevo appuntamento con il corrispondente da Mosca del mio giornale, Il Sole-24 Ore. Si chiamava (è mancato nel 2010) Sergio Augusto Rossi ed era stato da pochi mesi nominato primo corrispondente del giornale dalla capitale sovietica.
Era uno studioso appassionato della Russia (vi era arrivato per la prima volta nel 1971 con una borsa di studio), si era laureato con Norberto Bobbio a Torino con una tesi sulla cremlinologia, aveva collaborato con la Stampa e la Fondazione Agnelli, lavorato per l'Office Italia della Nato, era considerato in Italia uno dei massimi esperti di armamenti e per questo noi redattori lo chiamavamo "il nostro agente al Cremlino". Non l'avevo mai incontrato a Milano ed ero molto curioso di conoscerlo.
Avevo appuntamento a mezzogiorno in albergo e decisi di impiegare la mattina che era splendida alla visita della Piazza delle Cattedrali, cioè la piazza centrale del Cremlino sulla quale si affacciano diversi monumenti tra cui le cattedrali della Dormizione, dell'Arcangelo Michele e dell'Annunciazione. Oltre a queste ci sono anche due chiese e l'altissimo campanile di Ivan il Grande. Non avevo mai visto l'interno di una cattedrale ortodossa e ricordo ancora l'abbagliante splendore di quella dell'Arcangelo Michele, che ospita una iconostasi (parete divisioria che separa la navata dal santuario dove si fa l'eucaristia) di legno scolpito alta 13 metri tutta decorata di icone dorate.
All'uscita faceva caldo e io e i miei amici scoprimmo in una viuzza lì vicino una latteria che vendeva gelato sciolto, era di un'unico tipo bianco e simile al fior di latte. Ne comprammo una vaschetta e ce lo mangiammo con lunghi cucchiaini di legno ripetendoci come bambini la parola russa che indicava gelato: marozna. Quando all'albergo incontrai finalmente il collega Rossi dovetti salire in camera a cambiarmi la camicia per via di una grossa macchia di gelato.
Era un tipo molto timido e riservato, poco più vecchio di me, e mi invitò a pranzo a casa sua. Ci avrebbe portato il suo autista, un ex sergente della milizia (che secondo lui era un informatore del KGB) al volante di una vecchia Zigulì, la Fiat 124 costruita a Togliattigrad. Sua moglie e le figlie erano ancora in Italia e a cucinare ci avrebbe pensato Olimpiada, la sua colf, un donnone vestita con quello che mi sembrava un costume, gonnellona e camicia ricamata di fiori rossi, che lo accudiva in modo molto possessivo e materno.
Gli avevano assegnato un appartamento piuttosto grande per lo standard sovietico in un palazzo che faceva parte di un nuovo insediamento di case per stranieri, qualche chilometro fuori Mosca in una zona molto verde dove il nuovo quartiere confinava con i primi boschi. Me lo mostrò piuttosto soddisfatto mentre Olimpiada cucinava anche se mi disse che in Russia trovare arredi per la casa era un vero problema. Gli mancavano infatti alcuni mobili che richiesti da mesi continuavano a non arrivare. Soprattutto era arrabbiato per il letto. Aveva fatto l'errore di acquistarne uno a una piazza e ordinato quello gemello che dopo lunga attesa gli era stato consegnato due giorni prima. Era uguale al primo, ma era di anche di dieci centimetri più basso. L'autista vista la sua disperazione (a fine Agosto sarebbe arrivata tutta la famiglia) gli aveva procurato quattro cubi di legno di 10 centimetri con i quali aveva pareggiato le altezze delle gambe e risolto provvisoriamente il problema.
A pranzo mangiammo pelmeni, dei grossi ravioli di carne molto gustosi. In Siberia, dove sono un piatto tradizionale, li condiscono con aceto e senape, in Russia con panna acida e burro. Mentre mangiavamo Rossi mi mise al corrente della situazione economica del Paese, nel  quale ormai la corruzione era la regola e il degrado delle istituzioni cominciava a vedersi a occhio nudo, come il ritardo dello sviluppo tecnologico. Era piuttosto scettico sulla possibilità di successo della Perestroika e per quanto riguardava la tecnologia mi disse che una certa diffusione dei pc nelle scuole e nelle aziende stava iniziando soprattutto con importazioni dal Giappone e dall'Italia dal momento che i computer Usa non potevano ancora entrare ufficialmente in Russia. Il problema si risolveva così: erano nate negli ultimi mesi molte aziende finlandesi che assemblavano ed esportavano tecnologia, computer e robot,americani travestiti. Mi venne in mente il vagone piombato del treno di Finlandia che aveva riportato  nel 1917 Lenin in Russia.
Gli chiesi se avrei ottenuto informazioni più precise dall'ufficio Olivetti di Mosca, ma egli mi sconsigliò di andare a trovare il dirigente dell'ufficio perché non mi avrebbe detto niente, se non dati inattendibili e informazioni inutili perché correva voce fosse un personaggio corrotto e coinvolto in affari piuttosto melmosi (alcuni mesi dopo infatti scomparve sfuggendo per poco all'arresto).
Tornai a Mosca nel pomeriggio con l'autista, Vlad, che mi riportò in albergo, ma a metà percorso assistetti a una scenetta divertente e indicativa della situazione della Russia. Sulla superstrada comiciò a piovere, un temporale estivo, e ai primi goccioloni, Vlad, fermò la Zigulì tirò fuori da una borsa un pacchetto di carta da giornale nel quale aveva amorevolmente avvolto le spazzole dei tergicristalli, li rimontò e ripartì facendomi capire a gesti che così andava il mondo. A Mosca come a Napoli.

(Continua)

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