3) Domenica in tarda mattinata avevo
appuntamento con il corrispondente da Mosca del mio giornale, Il
Sole-24 Ore. Si chiamava (è mancato nel 2010) Sergio Augusto Rossi
ed era stato da pochi mesi nominato primo corrispondente del
giornale dalla capitale sovietica.
Era uno studioso appassionato della
Russia (vi era arrivato per la prima volta nel 1971 con una borsa di
studio), si era laureato con Norberto Bobbio a Torino con una tesi
sulla cremlinologia, aveva collaborato con la Stampa e la Fondazione
Agnelli, lavorato per l'Office Italia della Nato, era considerato in
Italia uno dei massimi esperti di armamenti e per questo noi
redattori lo chiamavamo "il nostro agente al Cremlino".
Non l'avevo mai incontrato a Milano ed ero molto curioso di
conoscerlo.
Avevo appuntamento a mezzogiorno in
albergo e decisi di impiegare la mattina che era splendida alla
visita della Piazza delle Cattedrali, cioè la piazza centrale del
Cremlino sulla quale si affacciano diversi monumenti tra cui le
cattedrali della Dormizione, dell'Arcangelo Michele e
dell'Annunciazione. Oltre a queste ci sono anche due chiese e
l'altissimo campanile di Ivan il Grande. Non avevo mai visto
l'interno di una cattedrale ortodossa e ricordo ancora l'abbagliante
splendore di quella dell'Arcangelo Michele, che ospita una
iconostasi (parete divisioria che separa la navata dal santuario dove
si fa l'eucaristia) di legno scolpito alta 13 metri tutta decorata di
icone dorate.
All'uscita faceva caldo e io e i miei
amici scoprimmo in una viuzza lì vicino una latteria che vendeva
gelato sciolto, era di un'unico tipo bianco e simile al fior di
latte. Ne comprammo una vaschetta e ce lo mangiammo con lunghi
cucchiaini di legno ripetendoci come bambini la parola russa che
indicava gelato: marozna. Quando all'albergo incontrai finalmente il
collega Rossi dovetti salire in camera a cambiarmi la camicia per via
di una grossa macchia di gelato.
Era un tipo molto timido e riservato,
poco più vecchio di me, e mi invitò a pranzo a casa sua. Ci
avrebbe portato il suo autista, un ex sergente della milizia (che
secondo lui era un informatore del KGB) al volante di una vecchia
Zigulì, la Fiat 124 costruita a Togliattigrad. Sua moglie e le
figlie erano ancora in Italia e a cucinare ci avrebbe pensato
Olimpiada, la sua colf, un donnone vestita con quello che mi
sembrava un costume, gonnellona e camicia ricamata di fiori rossi,
che lo accudiva in modo molto possessivo e materno.
Gli avevano assegnato un appartamento piuttosto grande per lo standard sovietico in un palazzo che faceva parte di un nuovo insediamento di case per
stranieri, qualche chilometro fuori Mosca in una zona molto verde
dove il nuovo quartiere confinava con i primi boschi. Me lo mostrò
piuttosto soddisfatto mentre Olimpiada cucinava anche se mi disse che
in Russia trovare arredi per la casa era un vero problema. Gli
mancavano infatti alcuni mobili che richiesti da mesi continuavano a
non arrivare. Soprattutto era arrabbiato per il letto. Aveva fatto
l'errore di acquistarne uno a una piazza e ordinato quello gemello che dopo lunga attesa gli era stato consegnato due giorni prima. Era uguale al primo, ma
era di anche di dieci centimetri più basso. L'autista vista la sua
disperazione (a fine Agosto sarebbe arrivata tutta la famiglia) gli
aveva procurato quattro cubi di legno di 10 centimetri con i quali
aveva pareggiato le altezze delle gambe e risolto provvisoriamente il problema.
A pranzo mangiammo pelmeni, dei grossi
ravioli di carne molto gustosi. In Siberia, dove sono un piatto
tradizionale, li condiscono con aceto e senape, in Russia con panna
acida e burro. Mentre mangiavamo Rossi mi mise al corrente della
situazione economica del Paese, nel quale ormai la corruzione era la regola e il degrado delle istituzioni cominciava a vedersi a occhio nudo, come il ritardo dello sviluppo tecnologico. Era
piuttosto scettico sulla possibilità di successo della Perestroika
e per quanto riguardava la tecnologia mi disse che una certa
diffusione dei pc nelle scuole e nelle aziende stava iniziando soprattutto con importazioni dal
Giappone e dall'Italia dal momento che i computer Usa non potevano
ancora entrare ufficialmente in Russia. Il problema si risolveva
così: erano nate negli ultimi mesi molte aziende finlandesi che
assemblavano ed esportavano tecnologia, computer e robot,americani
travestiti. Mi venne in mente il vagone piombato del treno di Finlandia che aveva riportato nel 1917 Lenin in Russia.
Gli chiesi se avrei ottenuto informazioni più precise
dall'ufficio Olivetti di Mosca, ma egli mi sconsigliò di andare a
trovare il dirigente dell'ufficio perché non mi avrebbe detto
niente, se non dati inattendibili e informazioni inutili perché
correva voce fosse un personaggio corrotto e coinvolto in affari
piuttosto melmosi (alcuni mesi dopo infatti scomparve sfuggendo per
poco all'arresto).
Tornai a Mosca nel pomeriggio con
l'autista, Vlad, che mi riportò in albergo, ma a metà percorso
assistetti a una scenetta divertente e indicativa della situazione della Russia. Sulla superstrada comiciò a piovere,
un temporale estivo, e ai primi goccioloni, Vlad, fermò la Zigulì
tirò fuori da una borsa un pacchetto di carta da giornale nel quale
aveva amorevolmente avvolto le spazzole dei tergicristalli, li
rimontò e ripartì facendomi capire a gesti che così andava il
mondo. A Mosca come a Napoli.
(Continua)
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