"Mi dimetto perché sono
colpito e allarmato da una concezione del partito e del confronto al
suo interno che non può piegare verso l'omologazione, di linguaggio
e pensiero". Così Gianni Cuperlo, in una lettera a Matteo
Renzi per motivare le sue dimissioni dalla presidenza del PD
Era inevitabile ed è avvenuta questa
scissione calda tra i nuovi fanfaniani evoluti, energici e sbrigativi
e gli ex berlingueriani eruditi e dolenti, rimasti immobili al palo dopo
la fine della storia, cioè dopo la caduta del muro di Berlino e
l'inizio della gobalizzazione.
Che angoscia per me, che sono stato iscritto per cinque anni a questo partito vederlo oggi lacerato e sull'orlo di una drammatica scissione provocata, anzi aizzata,
dai diktat volgari del segretario bulletto che risponde alla critiche di
merito con l'insulto personale perché ormai non ha più tempo da
perdere con il dissenso interno, meglio liberarsene il più
beceramente e il più velocemente possibile.
Cuperlo nella sua lettera di dimissioni
scrive che si dimette perché "vuole bene al PD". Mi
chiedo a quale PD vuol bene dal momento che il PD renziano non è più
né un partito né democratico perché è guidato da uno che
irride chi si esprime contro le sue scelte avvertendolo di stare votando
contro i 3 milioni di elettori delle primarie che, lui ne è
convinto, gli hanno dato un mandato in bianco a fare tutto.
Proprio come il suo cattivo maestro Berlusconi con il quale non a caso si trova tanto in sintonia. Sicuramente più che con Cuperlo.
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