lunedì 27 gennaio 2014

La porta dell'inferno alla Stazione Centrale

 
La porta dell'inferno è banale, come è giusto che sia. Un'anonima apertura laterale ricavata nel terrapieno della Stazione Centrale di Milano, in via Ferrante Aporti, in corrispondenza con la fine delle grandi gallerie che sovrastano i binari.
L'ingresso dà su un ambiente in penombra, un tempo era il magazzino delle Regie Poste della stazione dove venivano caricati e scaricati i vagoni merci con i sacchi di corrispondenza spediti via ferrovia.
Da questo antro scuro, riparato dagli sguardi dei cittadini milanesi, tra l'inverno del 1943 e l'aprile del 1945 centinaia di ebrei milanesi, uomini, donne, vecchi e bambini, e rastrellati in città e nel territorio, partirono per il loro ultimo viaggio verso i reticolati e le camere a gas di Auschwitz e Bergen Belsen.
Oggi, questo luogo, unico teatro delle deportazioni in Europa ad essere rimasto intatto, è diventato il Memoriale della Shoah e la visita che ho fatto stamattina è cominciata con una lunga coda, sorvegliata e scandita da un efficiente servizio d'ordine, pantomima involontaria di uno dei tragici rituali tipici delle ordinate operazioni di morte gestite dalle SS.
Lasciata alle spalle la luce brillante della stada, mi sono infilato nella penombra dell'atrio da dove nel gennaio di 70 anni fa una ragazzina di 13 anni, Liliana Segre, partì con suo padre verso la morte. Con lei partirono stipati nei carri bestiame quella mattina, altri 605 ebrei. Ne tornarono vivi solo 22.
Dall'atrio del Memoriale, che è stato inaugurato nel gennaio del 2013, si accede all'area dei binari dove i deportati venivano caricati sui carri. E' stato mantenuto com'era con l'installazione di quattro carri merci dell'epoca. In ogni carro (che secondo l'uso serviva per trasportare 8 cavalli, venivano fatte salire una settantina di persone. Il vagone veniva piombato e poi sollevato fino all'altezza del terrapieno ferroviario con una sistema di traslatori e montavagoni per essere agganciato alla mortice con gli altri del convoglio. Entrare in uno di questo carri è un'esperienza raggelante che vale più di mille parole.
Sono 15 i convogli carichi di ebrei e deportati politici che da qui, da un binario senza nome tra il 18 e il 19, partirono verso i lager. I nomi dei deportati sono proiettati in lettere bianche sul muro scuro che fiancheggia la banchina di carico. Ogni tanto tra questi spicca in lettere gialle il nome di un superstite scampato all'orrore. Molto pochi.
Mi sono aggirato per un po' nella galleria ricavata sulla lunga banchina, leggendo i cartelloni che raccontavano le tappe di questa tragedia, le leggi razziali, la discriminazione, i primi arresti dopo l'8 settembre, le grandi retate dell'ottobre 1943 a Roma, Firenze, Genova, Bologna, Torino e Milano. Poi non ce l'ho fatta più e sono uscito fuori da quel cupo cuore di tenebra "a riveder le stelle".

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