martedì 3 dicembre 2013

La lezione di Prato

La globalizzazione è un ponte che va nelle due direzioni: primo mondo verso terzo mondo e viceversa. Questo ci ha insegnato la tragedia di Prato che i giornali definiscono "annunciata", perché tutti sapevano benissimo che nelle fabbrichette cinesi della produzione tessile pratese, si lavorava e viveva in quel modo.
Il modello produttivo basato sul sostanziale schiavismo della manodopera tessile costretta a produrre per le più famose griffe del made in Italy in condizioni subumane per pochi euro al giorno è identico, in Asia come in Europa.
In Cina, accanto a grandi centri di produzione modernissima e automatizzata c'è un oceano di attività con alto utilizzo di manodopera. Ovunque il salario è quello tipico dei paesi emergenti. L'orario di lavoro è da Inghilterra primi '800. Si sfrutta il lavoro minorile. Le condizioni di lavoro sono disumane, l'inquinamento interno e ambientale è selvaggio.
A Prato è avvenuta la stessa cosa, da molto tempo nel sostanziale silenzio generale perché il modello di produzione globale è stato tacitamente accettato e istituzionalizzato. I responsabili del gigantesco degrado civile e sociale che ne consegue non sono i cinesi, ma noi italiani, imprenditori della moda e consumatori, che quando compriamo per pochi soldi una maglietta o una felpa da una fabbrichetta pratese o da un grossista cinese non ci chiediamo come è stata prodotta, ma solo quanto costa e quanto ci guadagniamo.
A Prato come a Paderno Dugnano, perché il modello dalla città toscana si è da anni esteso a tutto il Paese. Nel 2008, infatti, in uno scantinato di via Roma a Paderno erano state scoperte dalla Polizia locale un paio di fabbrichette del genere. Da allora a oggi le cronache non hanno più fatto emergere niente del genere. Significa che il fenomeno è stato eliminato per sempre sul nostro territorio o che forse è venuto il momento di rifare qualche controllo?

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