A prima vista sembra un film "vecchio",
con i colori, le scenografie povere, le immagini girate in economia, il ritmo e lo stile tipico del cinema "democratico" degli anni 70. "No – I giorni dell'arcobaleno" invece è
un film del 2012, diretto da Pablo Làrrain, e racconta la
storia di una campagna pubblicitaria vincente che ha contribuito in
modo significativo alla sconfitta della sanguinaria dittatura fascista
del generale Pinochet.
Siamo nel 1988. Il dittatore cileno
Augusto Pinochet è costretto a cedere alle pressioni internazionali
, soprattutto a quelle degli Stati Uniti, e a sottoporre a referendum
popolare il proprio incarico di Presidente (ottenuto grazie al colpo
di stato contro il governo democraticamente eletto e guidato da
Salvador Allende). I cileni saranno chiamati a decidere se affidargli o meno
altri 8 anni di potere. Per la prima volta da molti anni anche i partiti di
opposizione avranno accesso quotidiano al mezzo televisivo in uno
spazio della durata di 15 minuti. Pur nella convinzione di avere
scarse probabilità di successo il fronte del "no" si mobilita e affida
la campagna a un giovane pubblicitario anticonformista: René
Saavedra, esule tornato in patria e figlio di un noto esponente politico perseguitato dal
regime.
Il film racconta la difficoltà dei rappresentanti dei partiti democratici, che ritenevano
il plebiscito una trappola e una partita truccata impossibile da
vincere, ad accettare di farla la campagna e di seguire le idee di comunicazione di René. La maggior
parte di loro, anche i più pragmatici, considerava la campagna un'occasione per raccontare finalmente la verità sulle sofferenze, la miseria,
la violenza e gli orrori inflitti al popolo dalla dittatura e non
erano interessati ad altro perché non prendevano nemmeno in
considerazione la possibile vittoria. Il pubblicitario invece,
spalleggiato da altri giovani creativi, musicisti, copywraiter, ci credeva, ma per vincere sapeva che bisognava usare un linguaggio
pubblicitario, non politico, e puntare sul futuro senza mettere in primo piano il
passato. L'allegria e la gioia della libertà doveva essere il
messaggio principale da diffondere, non la paura della violenza e dell'oppressione.
Molti di questi, soprattutto comunisti e socialisti, reagiscono male, accusano i giovani di voler nascondere la verità, di legittimare il dittatore, di non tenere conto delle grandi sofferenze, delle torture, delle morti, delle sparizioni. Ma la maggioranza è attirata dall'idea di cambiare linguaggio e di provare a battere questa strada, così la campagna ha inizio.
Nel frattempo Renè che lavora in una
grande agenzia di comunicazione diretta da un pubblicitario fedele al
regime, viene scoperto dal suo capo il quale è consulente del
governo per la campagna del "si". Il capo lo stima molto
per la sua bravura e pur proteggendolo cerca di dissuaderlo. Il film racconta così
anche la sfida professionale tra i due comunicatori combattuta a
colpi di spot che si susseguono uno dopo l'altro ogni sera in Tv per
un mese.
Il regime minaccia pesantemente Renè e
la sua famiglia come tutti gli altri professionisti coinvolti nella
campagna del "no", perché si rende conto che è una
campagna efficace e che piace alla gente, ma non può andare oltre le minacce
perché troppi osservatori internazionali seguono le elezioni.
Inoltre il governo fascista è assolutamente sicuro di stravincere
perché se è vero che il 40% dei cileni vive in miseria, l'altro 60%
sta bene e non si lamenta: i figli studiano e lavorano senza problemi, c'è ordine
nel Paese e l'economia sembra comunque in crescita costante. Il golpe militare
è una cosa brutta da ricordare, ma appartiene al passato.
Il risultato
della sfida elettorale è storia. Pinochet viene sconfitto, la
democrazia vince e l'allegria ritorna nel Paese perché come diceva
il pay off della campagna "Il Cile oggi pensa al suo futuro" e ha votato per questo.
Su Repubblica, Federico Rampini, ha dato
conto di molte delle critiche rivolte al film, in Cile e negli Stati
Uniti. "E’ carino, simpatico e comico il film sulla fine
del dittatore cileno Pinochet. Lo descrive sconfitto nel referendum
grazie alla geniale trovata del pubblicitario che diede un tono
gentile e ottimista alla campagna del “no”. Ma alla sua uscita
negli Stati Uniti (dove l’ho visto due mesi fa) il film fu
distrutto dalla critica, usando il “fact-checking”. Ovvero la
verifica dei fatti. La sinistra cilena sostiene che il film stravolge
la storia. La campagna referendaria fu vinta non grazie a uno spot,
ma per la mobilitazione capillare che porto` alle urne un popolo
della sinistra inizialmente molto scettico".
La critica è a mio avviso infondata. Prima di tutto perché nel film si parla solo della campagna pubblicitaria, non è un documentario sul
plebiscito popolare, sui partiti che sostennero la campagna del "no",
sulle loro attività politiche. Il film non attribuisce affatto il merito della
vittoria ai pubblicitari che fino all'ultimo erano incerti sull'esito, temevano un golpe, brogli,e altre violenze. Il film afferma chiaramente una cosa illuminante
nella sua semplicità e verità: in politica se vuoi favorite il cambiamento e
sconfiggere il vecchio, devi parlare del futuro e non del passato,
devi parlare del bello e del buono che il cambiamento ci porterà e non
del male e del brutto che il passato ha provocato.
La considero come
comunicatore e militante della propaganda di sinistra, votato da
sempre, professionalmente e politicamente alla ricerca del futuro
possibile, una lezione da studiare, capire, imparare e cercare di
mettere in pratica.
Insomma il film ci dice: basta dedicare tutto il tempo a denunciare quel 30% di Italia vecchia, disonesta, egoista, reazionaria e antidemocratica che ha portato il Paese al disastro. Cominciamo a parlare solo del futuro, dell'Italia che sogniamo e che crediamo sia possibile costruire a partire da oggi, dell'Italia onesta, ottimista, allegra e che vuole la pace, la sicurezza e la felicità. Dell'Italia che è già maggioranza e che aspetta solo gli si dica che oggi è venuto il momento di pensare insieme al domani.
Insomma il film ci dice: basta dedicare tutto il tempo a denunciare quel 30% di Italia vecchia, disonesta, egoista, reazionaria e antidemocratica che ha portato il Paese al disastro. Cominciamo a parlare solo del futuro, dell'Italia che sogniamo e che crediamo sia possibile costruire a partire da oggi, dell'Italia onesta, ottimista, allegra e che vuole la pace, la sicurezza e la felicità. Dell'Italia che è già maggioranza e che aspetta solo gli si dica che oggi è venuto il momento di pensare insieme al domani.
1 commento:
ps. la sinistra deve parlare del domani, non del passato...e soprattutto non di sé stessa.
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