giovedì 7 febbraio 2013

Zero Dark Thirty, quando la tortura è "democratica"

Esce oggi nelle sale cinematografiche italiane Zero Dark Thirty (Le Giraffe a Paderno Dugnano). E' un film del 2012 diretto da Kathryn Bigelow ed è basato sull'attività di intelligence che ha portato all'individuazione e uccisione del terrorista Osama Bin Laden.
Il titolo riprende il gergo militare Usa e indica la mezzanotte e mezzo, ora in cui partono le azioni militari più rischiose. Come l'assalto notturno dei Navy Seal ad Abbottabad  in Pakistan che ha portato all'uccisione del leader di al Qaeda.
Zero Dark Thirty inizia al buio, mentre si sentono solo le voci delle migliaia di persone rimaste intrappolate nelle Torri Gemelle l'11 Settembre 2001. Chiedono aiuto e salutano i loro cari, prima di morire. La storia ha al centro la figura di una donna, l'agente Maya della CIA che grazie alla sua intuizione e a una dose rivoltante di torture inflitte ai prigionieri nelle carceri speciali americane, a Guantanamo e in altri Paesi, ha potuto scovare il nascondiglio segreto di Bin Laden.
L'agente esiste davvero (Maya è il nome in codice). Ha circa 30 anni e per il suo lavoro è stata premiata con la massima onorificenza (Distingushed Intelligence Medal). Nel film come nella realtà, Maya, inizialmente, ha dovuto combattere i pregiudizi espressi dagli altri agenti contro la sua tesi: per arrivare a Bin Laden bisognava seguire chi portava i messaggi. Poi gli hanno creduto, ma fino all'ultimo i "maschi" l'hanno snobbata e tenuta ai margini.
Il film che Maria Laura Rodotà sul Corriere della Sera definisce "femminista" in realtà è un film di volgare propaganda, paragonabile al famoso Berretti Verdi degli anni '60, ma più subdolo e bugiardo di quello a mio parere perché, mentre allora a metterci la faccia per sostenere le ragioni "democratiche" della sporca guerra vietnamita c'era John Wayne, qui ci hanno messo un'attrice, la bella Jessica Chastain, a fare da testimonial alle torture e alle violazioni dei diritti umani.
Gli americani sono diventati molto abili in questo tipo di operazioni mediatiche made in Hollywood. Un film su una donna, giovane e carina, in giacca-pantaloni blu da agente femmina in un mondo di maschioni, occhi azzurri e viso dolce, che partecipa in prima fila alle torture sui prigionieri inermi per avere informazioni utili a catturare un grande terrorista, umanizza, rende sopportabile e in qualche modo "giustifica" i mezzi. Mezzi quali affogare e picchiare i prigionieri, denudarli e umiliarli, rinchiuderli in un scatolone pieno di escrementi, costringerli a camminare a quattro zampe tenuti al guinzaglio come cani.
Nella fiction, per aver tratto profitto da queste cose, tenuto duro per 12 anni, e alla fine catturato, ucciso e identificato il cadavere del nemico numero uno del suo Paese, l'agente Maya viene promossa e decorata. Nella realtà, fatta di carne, vomito e sangue vero, Lynndie England, la soldatessa fotografata ad Abu Graib mentre teneva al guinzaglio un prigioniero torturato nel carcere iracheno, è stata condannata a tre anni di reclusione da un Corte marziale americana, ed è stata radiata dall'esercito.
Oggi di questa realtà tremenda nessuno più si ricorda, Jessica Chastain, invece, ha già vinto un Golden Globe e probabilmente vincerà anche un Oscar.

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