venerdì 5 ottobre 2012

PD: te le do io le primarie


In questi giorni si fa un gran parlare sui giornali delle elezioni primarie del PD (nella foto un'immagine di quelle del 2009) e delle regole che stanno dietro a questa scelta strategica dell'unico partito (criticatissimo) che apre ai cittadini elettori questa forma di selezione diretta dei candidati. Ma sono pochi quelli che sanno cosa sono davvero le elezioni primarie, e in particolare le "primarie dirette" (quelle che prevedono il coinvolgimento diretto degli elettori nella scelta dei candidati). 
Sono un'innovazione della democrazia americana che però non nasce insieme al sistema politico degli Stati Uniti nella cui celeberrima Costituzione del 1787 non si parla affatto di partiti. Le primarie sono una conquista molto recente ideata e realizzata per motivi diversi in due diverse occasioni create dalla storia americana.
Il primo utilizzo del sistema arriva dopo la Guerra Civile negli anni della Ricostruzione (1863-1877).  Negli Stati del Sud i repubblicani erano scomparsi e i democratici si trovavano spesso a governare da soli rappresentando però interessi e idee in forte contrasto tra loro. In assenza di opposizione non c'era democrazia. Le primarie nascono dunque nel Sud come un tentativo di rendere più democratico il sistema a "partito unico" che si era venuto a creare.
L'utilizzo delle primarie dirette comincia ad estendersi nel resto del Paese nei primi anni del Novecento. L'obiettivo è quello di abbattere le vecchie strutture dei partiti organizzati che governavano in modo assoluto e ad ogni livello la vita politica esercitando un controllo che finiva inevitabilmente per diventare illegale e criminale. Le elezioni primarie si impongono come strumento di autoriforma del sistema e sono promosse dai democratici progressisti, prima nel Wisconsin e nel 1916 vengono adottate in metà degli stati americani.
Le due guerre mondiali della prima metà del '900 e le gravi crisi economiche che ne seguirono, aiutarono i partiti maggiori a riconquistare il pieno controllo nella selezione della propria classe dirigente con il metodo del caucus (una parola dei nativi americani che, tradotta letteralmente, significa "riunione a gambe incrociate davanti alla tenda"). Nei caucus i dirigenti locali del partito scelgono i propri candidati. I metodi utilizzati sono diversi, per i repubblicani il voto è segreto, per i democratici no, ma in linea di massima si tratta di un sistema in cui prevale il voto "comunitario" invece di quello individuale. Un sistema molto più facilmente manipolabile dai vertici locali del partito.
Dal primo dopoguerra fino al 1968, gli Stati che mantennero le elezioni primarie dirette diventarono sempre di meno e le primarie vennero tollerate dai partiti alla stregua di "sondaggi sul campo" per misurare la popolarità dei candidati meno noti (J.F. Kennedy, nel 1960, fu uno degli esempi più eclatanti). Ma bisognerà aspettare la convention democratica di Chicago del 1968 per invertire la tendenza, quando la nomina nei caucus di Hubert Humphrey (favorevole alla guerra in Vietnam), in totale contrasto con le idee della base del partito, provocò una ribellione popolare così forte da costringere i democratici a tornare alle primarie. E i repubblicani, più o meno, si adeguarono. Dal 1972 in poi, la maggioranza degli Stati americani impose per legge l'utilizzo delle elezioni primarie dirette come metodo principale per la selezione delle candidature politiche. Restano però sistemi diversi. Il primo è l'elezione primaria "chiusa" alla quale possono partecipare soltanto gli elettori giù registrati nelle liste elettorali di un determinato partito. La registrazione avviene su un registro pubblico controllato dalle autorità locali. In alcuni Stati (per esempio quello di New York), la registrazione deve essere formalizzata almeno un anno prima della data in cui si tengono le elezioni primarie, ma questo limite temporale varia moltissimo, fino ad arrivare a tre mesi o addirittura a quindici giorni. Poi ci sono le primarie "chiuse, ma aperte agli indipendenti". Anche in questo caso, possono partecipare gli elettori registrati al partito, ma le votazioni sono aperte anche agli "indipendenti", che possono scegliere di partecipare alle primarie e vengono iscritti nelle liste del partito nel momento del voto. Il terzo sistema sono le primarie "aperte e pubbliche". Possono partecipare gli elettori che, nel giorno delle elezioni, dichiarano la propria scelta di partito direttamente al seggio (in cui si tengono anche le primarie degli altri partiti), senza bisogno di alcuna registrazione precedente. Il quarto metodo è l'elezione primaria "aperta e privata". Possono partecipare tutti gli elettori che si presentano al seggio nel giorno delle elezioni. E la scelta del partito avviene segretamente, senza necessità di alcuna dichiarazione o registrazione. Il quinto e ultimo tipo di elezione primaria diretta è quella "coperta" (blanket primary). Gli elettori ricevono una scheda con tutti i candidati di tutti i partiti che corrono per una determinata carica. I due candidati più votati, a prescindere dal partito, partecipano alle elezioni vere e proprie. Ma si tratta di una pratica molto contestata e con una sentenza del 2000, la Corte Suprema ne ha decretato l'incostituzionalità.
E' evidente che sono le "primarie" e le loro regole a dare forma ai partiti che le adottano perché li trasformano in organismi molto leggeri al servizio dei candidati i quali hanno il compito di riempire di contenuti i partiti e non viceversa. I partiti esprimono linee-guida, indirizzi generici di politica estera ed economica, ma hanno perso quasi del tutto il ruolo di "fabbriche del programma", compito che è affidato ai singoli candidati, ognuno dei quali deve rendere conto a segmenti di elettorato diverso: il candidato alla presidenza risponde alla nazione; quello del Senato al suo Stato; quello della Camera al suo distretto.
In un sistema che ha metabolizzato da secoli il principio della separazione dei poteri, il metodo funziona egregiamente a tutti i livelli, mentre da noi familisti e cattolici come siamo diventa quasi una missione impossibile. Il PD è davvero un partito di coraggiosi.

1 commento:

Gianni Rubagotti ha detto...

Le primarie americane si capiscono meglio se si inquadrano nella forma partito anglosassone, cioè qualcosa di più di un comitato elettorale.
In America il voto è fortemente incentrato sulla persona e il suo passato piuttosto che su un partito e la sua ideologia e programma.
E può capitare che un democratico del sud sia più a destra di un repubblicano di New York.

In Italia una tale forma partito nel dopoguerra non è praticamente mai esistita e il Partito Democratico eredita la forma partito europea (e non anglosassone) di partito con tessere, con programma, di cui gli eletti sono espressione (non il contrario).

Un'altra grande difficoltà nelle primarie italiane è che mentre la legge elettorale in vigore consente già di raccogliere le firme per le prossime elezioni non si sa ancora come capperi si andrà a votare. Per dirlo in soldoni in teoria Vendola potrebbe vincere le primarie e poi la cosa non avrebbe valore se il proporzionale che è già adesso in vigore perdesse il premio alle coalizioni e ogni partito andasse per conto suo.

Spero che il candidato che vincerà le primarie del PD si impegni a dare all'Italia la legge elettorale a collegio uninominale che i cittadini hanno voluto e che i partiti hanno prima camuffato e poi cancellato. Se non lo farà si rischia di vivere di governi tecnici per tutta la prossima legislatura e quelle dopo.