mercoledì 2 maggio 2012

Libertà di stampa: l'Italia come la Guyana

Segnalo agli interessati il seguente comunicato di Freedom House (diffuso da La Presse/API) sullo stato della libertà di stampa nel mondo e in Italia che è allo stesso livello di stati quali Guyana e Hong Kong.

New York, 1 maggio 2012.  La libertà di stampa è leggermente aumentata in Italia con le dimissioni di Silvio Berlusconi da premier, ma il Paese resta tuttavia 'parzialmente libero', anche a causa dell'influenza del Cavaliere. È quanto si apprende dal rapporto 2012 di Freedom House, organizzazione indipendente statunitense che ogni anno pubblica i dati relativi alla libertà di stampa nel mondo. Il nostro Paese è un raro esempio di nazione non 'libera' in Europa occidentale e si posiziona al pari di Guyana e Hong Kong. Per la prima volta in otto anni, la situazione globale nel complesso non è peggiorata. A guidare la classifica, Finlandia, Svezia e Norvegia. "Il peggio del peggio" è riscontrato in otto Stati: Bielorussia, Cuba, Guinea equatoriale, Eritrea, Iran, Corea del Nord, Turkmenistan e Uzbekistan. Il punteggio degli Stati Uniti è scivolato a causa della repressione da parte delle forze di polizia del movimento e dei giornalisti che hanno seguito Occupy Wall Street. Lo scandalo dei media ha danneggiato la posizione del Regno Unito, che resta comunque Paese 'libero'. Grande attenzione è rivolta alla situazione dei Paesi della Primavera araba: "La recente apertura degli ambienti multimediali in Paesi come la Tunisia e la Libia, pur tenue e lontana dall'essere perfetta, è fondamentale per il futuro dello sviluppo democratico nella zona e deve essere nutrita e protetta", ha sottolineato il presidente di Freedom House David J. Kramer. La Cina e le nazioni autoritarie in Africa e Medioriente, si legge nella relazione, hanno censurato le notizie della primavera araba. In Uganda, Angola e Gibuti, "le autorità hanno represso, a volte violentemente, i giornalisti che coprono le manifestazioni"

Cina, Russia, Iran e Venezuela sono segnalati nel rapporto come Paesi in cui "vengono detenuti i critici, chiusi mezzi d'informazione e condotti procedimenti penali contro giornalisti". Il controllo della televisione e della radio da parte dello Stato, si legge ancora, è alla base del sistema mediatico in molti Paesi, tra cui Russia, Venezuela, Zimbabwe, Cina e Vietnam. Diverse democrazie hanno minato l'ambiente ideale per la libertà di stampa, come il Cile e l'Ungheria, che passano da 'liberi' a 'parzialmente liberi'. Il Messico resta "uno dei posti più pericolosi al mondo per i giornalisti". In generale, sul totale di 197 Paesi analizzati lo scorso anno, 66 sono 'liberi', 72 'parzialmente liberi' e 59 'non liberi'. Soprattutto a causa della Cina, che vanta "il sistema più sofisticato al mondo per quanto riguarda la repressione dei media", Freedom House indica che il 40,5%della popolazione mondiale vive in un ambiente dove la stampa non è libera, il 45% in situazioni parzialmente libere, solo il 14,5% in Paesi liberi. (fonte: LaPresse/AP)

1 commento:

Gianni Rubagotti ha detto...

Vogliamo ricordare che se anche Berlusconi sparisse avremmo praticamente tutti gli organi di informazioni posseduti da aziende e non da editori puri oppure che esistono come organi di partito?

Inoltre siamo l'unico paese al mondo insieme all'Egitto che ha un ordine dei giornalisti, strumento molto utile per rendere + difficile l'esercizio della professione (per esempio alle testate via web magari fatte da volontari...e si sta arrivando ai blog) e che con un Vespa che dichiarava di avere la DC come editore di riferimento espelleva giornalisti che avevano fatto pubblicità (magari dando i soldi in beneficenza).

Infine oggi ho finalmente sentito un esponente del PD notare che forse 15 canali RAI sono un po' troppi...

Direi che il problema è molto + complesso.