Nel PD, che nelle intenzioni dei suoi fondatori dovrebbe essere un grande contenitore di riformisti, convivono personaggi diversi, molti che esprimono idee in totale disaccordo tra loro stessi e con altri. Spesso si tratta di persone intelligenti e colte, ciò non toglie che nella più totale libertà di parola (e non solo) che il partito lascia ai suoi iscritti, spesso si leggano e si ascoltino cose che fanno disperare per il futuro di un partito che, proprio a causa della sua esibita babele, fatica a dare un'immagine convincente ai suoi elettori.
L'ultimo episodio che mi ha fatto cadere le braccia è la richiesta di Stefano Boeri, assessore milanese ed ex candidato del PD alle primarie, a Filippo Penati perché questi segua "l'esempio di Renzo Bossi" e si dimetta dalla carica di Consigliere regionale.
Correttezza a parte, pretendere di fare un confronto tra i due soggetti citati è impossibile perché le due storie non sono paragonabili. Uno è stato un personaggio di primo piano della politica e dell'amministrazione di Sesto San Giovanni e della Provincia di Milano, l'altro è un ragazzino senz'arte né parte, eletto consigliere regionale per volontà del padre, al solo scopo di dargli un lavoro sicuro e ben pagato. Inoltre, Penati, dopo essere stato iscritto nel registro degli indagati e aver risposto agli inquirenti che lo accusavano, si è spontaneamente autosospeso dal Partito Democratico e da tutte le cariche istituzionali che ricopriva in Regione, senza essere allo stato dei fatti accusato formalmente di niente.
La Procura di Monza, infatti, seguendo un'ipotesi accusatoria costruita solo sulle rivelazioni di due imprenditori inquisiti e rinviati a giudizio per reati da loro commessi, da quasi due anni indaga su di lui senza aver finora concluso l'indagine. Alla Procura monzese, Penati, chiede di poter rispondere al più presto in Tribunale, ma questa continua a chiedere rinvii e allontanare nel tempo un giudizio che è anche sul suo operato.
I nemici politici di Penati interni al PD sostengono che egli si dovrebbe dimettere dal Consiglio Regionale perché i reati di cui lo accusavano i PM monzesi e di cui sostenevano avere le prove, sono stati prescritti a termini di legge. Insomma per Boeri, Filippo Penati è comunque colpevole perché accusato dagli inquirenti. E' proprio questo cieco atteggiamento giustizialista che mi fa sentire estraneo a gente come lui e mi fa disperare nel futuro.
Essere prescritti non vuol dire essere innocenti, ma nemmeno essere colpevoli. Il PM, e questo spero sia evidente, non è Dio, è un uomo che può sbagliare perché si fa influenzare dalle sue convinzioni, idee e pregiudizi come tutti noi. Parlo per esperienza personale; da cronista ho subito un processo per diffamazione e ho ascoltato con le mie orecchie il PM chiedere in aula la mia condanna (poi respinta dal Tribunale) per avere firmato un articolo di denuncia pubblicato da Panorama, in cui descrivevo sì la verità dei fatti, ma a suo dire “con intento diffamatorio”. Insomma, per quel Pubblico Ministero, avevo detto la verità sui reati commessi dal personaggio oggetto del mio articolo, al solo scopo però di "diffamarlo". Per fortuna la giustizia non la esercitano i PM, ma i Tribunali e quello davanti al quale allora stavo ha negato la mia condanna assolvendomi perché il fatto non sussisteva.
In Italia lo Stato di Diritto fatica a imporsi, ma non è ancora diventato (con buona pace dei lettori de Il Fatto) lo Stato Etico. E di questo dobbiamo ringraziare la nostra Costituzione.
1 commento:
Ieri ho sentito Travaglio sostenere davanti alla Gruber che Renzo Bossi ha fatto quello che Penati e Nicoli Cristiani non hanno fatto, riconoscendo alla Lega una diversità rispetto agli altri partiti.
Io non sono d'accordo.
In primo luogo Rosi Mauro ma anche Davide Boni sono ben lontani dalle dimissioni, ed entrambi non hanno neppure rinunciato al ruolo istituzionale (cosa che Penati e altri hanno fatto).
In secondo luogo Renzo Bossi pare non abbia ricevuto nessun avviso di garanzia quindi le sue dimissioni non sono un atto di responsabilità verso il Paese ma un atto politico per togliere dagli impicci suo padre Umberto, che infatti ieri sera si è potuto presentare all'assemblea di Bergamo per farsi "assolvere" dai suoi.
Ho apprezzato la discussione pubblica della Lega ma certo sostenere che la responsabilità politica (se poi esistono anche responsabilità giudiziarie lo stabilirà la Magistratura) è tutta di un ragazzo di vent'anni e di due "terroni" mi lascia perplesso.
Non condivido inoltre l'idea, sostenuta da Travaglio ma condivisa evidentemente anche da qualcuno dei nostri, per cui la discriminante è lo stipendio che gli indagati continuerebbero a prendere come se, dimessisi loro, quei soldi tornassero ai cittadini e non andassero invece al primo esponente dei non eletti dello stesso partito.
Anche a qualcuno dei nostri sfugge che l'ordinamento giudiziario (che come tutte le cose umane non è perfetto) prevede una procedura complessa a maggior garanzia degli innocenti NON a salvaguardia dei colpevoli.
Una volta si diceva "in dubio pro reo" meglio un colpevole libero che un innocente in galera, oggi il partito dei forcaioli (grande e trasversale) preferisce colpire sempre e subito e spesso a suo insindacabile giudizio.
Purtroppo sfugge che se gli innocenti se ne vanno, senza che si sia verificata la fondatezza delle accuse a loro carico, i disonesti avranno solo vita più facile.
E' necessario che la Giustizia abbia gli strumenti per operare in tempi ragionevoli (che non vuol dire contingentati) come è necessario che si colpisca duramente il malaffare accertato in politica ma, come purtroppo spesso accade nel nostro Paese, l'esigenza è spesso giusta, la risposta sbagliata.
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