Nei giorni scorsi il Corriere ha dato notizia della proiezione al Centro San Fedele di "Milano 83", film documentario di Ermanno Olmi, realizzato 30 anni fa dal regista bergamasco su committenza di Comune, Provincia Camera di Commercio di Milano e Regione Lombardia.
Un film che l'anziano regista sostiene sia stato "censurato dalla nomenclatura socialista", e non si capisce perché dal momento che fu presentato in pompa magna nel 1983 a Roma, dalla Rai, al Colosseo.
Un film che l'anziano regista sostiene sia stato "censurato dalla nomenclatura socialista", e non si capisce perché dal momento che fu presentato in pompa magna nel 1983 a Roma, dalla Rai, al Colosseo.
Esposto alla Mostra di Venezia 1983, andò in onda il 5 marzo1984 su RAI3. In seguito la pellicola che faceva parte di un ampio progetto a fianco di altri grandi cineasti: "Le capitali culturali d'Europa" venne premiata con il prestigioso Nastro d'Argento. Olmi ancora oggi non digerisce il fatto che quel film allora non piacque ai suoi committenti, ma in realtà non piaque a nessuno o quasi.
Oggi che è disponibile su Youtube tutti possono vederlo e comprendere il perché di quella lontana bocciatura di fatto. Io sono andato a vederlo e il mio giudizio è il seguente: il film è un modello di documentario da copiare e riprodurre per la sua tecnica, per l'idea straordinaria di rappresentare una città scandendola in migliaia di immagini di un giorno intero, ma i suoi contenuti sono deludenti perché rivelano lo sguardo di un provinciale che ha sempre guardato Milano senza capirla. Il film, infatti, sembra girato da un estraneo che a Milano è cresciuto e si è formato, ma non l'ha mai davvero compresa.
Oggi che è disponibile su Youtube tutti possono vederlo e comprendere il perché di quella lontana bocciatura di fatto. Io sono andato a vederlo e il mio giudizio è il seguente: il film è un modello di documentario da copiare e riprodurre per la sua tecnica, per l'idea straordinaria di rappresentare una città scandendola in migliaia di immagini di un giorno intero, ma i suoi contenuti sono deludenti perché rivelano lo sguardo di un provinciale che ha sempre guardato Milano senza capirla. Il film, infatti, sembra girato da un estraneo che a Milano è cresciuto e si è formato, ma non l'ha mai davvero compresa.
Senza commento parlato il film è interamente affidato alle immagini, ai rumori, ai suoni in un ritmo di montaggio convulso (più di 1.500 inquadrature), sottolineato da una colonna musicale di Mike Oldfield dove il rock predomina, ma non manca Verdi. Responsabile anche della fotografia (con Maurizio Zaccaro) e del montaggio, Olmi ha dato della città un'immagine grigia, buia (metà del film ha lo schermo nero rigato da fari e luci stradali) triste, deprimente, senza speranza. Un'immagine troppo parziale.
La giornata milanese che ne esce è pertanto irriconoscibile agli occhi di un normale abitante della capitale lombarda perché il registra la rinchiude tra un concerto della Scala e il lavoro dei netturbini o dei tramvieri, una domenica allo stadio, i nascenti fast food e le anatre del laghetto dello zoo. Milano è certo la città dei pendolari e dei loro treni, dei tram e delle mamme che portano i bambini all'asilo alle 7.30, ma è anche molto altro. Per Olmi Milano nell'83 era ancora i tram scampanellanti mentre sotto le rotaie che lui nostalgicamente riprendeva avanzava la linea 3 della metropolitana. Insomma la città era un'altra da quella raccontata nel film e anch'io se fossi stato Tognoli quella immagine troppo estranea di Milano l'avrei respinta.
Perché Olmi nel suo film non aveva introdotto nemmeno uno dei segnali di modernità che proprio in quegli anni stavano indicando la trasformazione imminente che, a partire da Milano, avrebbero cambiato l'Italia. Mentre lui si attardava a cercare faticosamente di riprendere una casa di ringhiera io ad esempio, andavo al Politecnico a seguire le nuove tecnologie che nascevano nei laboratori della facoltà di elettronica e venivo a Paderno Dugnano a fotografare e intervistare i tecnici di una delle prime e più famose fabbriche di robot italiane. Questa Milano Olmi non la vedeva.
Perché Olmi nel suo film non aveva introdotto nemmeno uno dei segnali di modernità che proprio in quegli anni stavano indicando la trasformazione imminente che, a partire da Milano, avrebbero cambiato l'Italia. Mentre lui si attardava a cercare faticosamente di riprendere una casa di ringhiera io ad esempio, andavo al Politecnico a seguire le nuove tecnologie che nascevano nei laboratori della facoltà di elettronica e venivo a Paderno Dugnano a fotografare e intervistare i tecnici di una delle prime e più famose fabbriche di robot italiane. Questa Milano Olmi non la vedeva.
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