giovedì 29 dicembre 2011

Un maoista "democratico" al Corriere della Sera

Leggere i giornali di questi tempi è per me un esercizio davvero stancante. Non tanto per quello che scrivono i commentatori di destra, tramortiti dalla estromissione dal governo per mano dei poteri forti, quelli veri, ma da quello che scrivono i commentatori che si dicono di sinistra, anzi "democratici".
"Qualche luogo comune, intanto, è bene che crolli" afferma sicuro come non mai il compagno Antonio Polito, nella sua veste di editorialista del Corriere della Sera.  E subito dopo ovviamente ci sommerge con una valanga di luoghi comuni: "Solo la crescita economica può migliorare la vita materiale degli esseri umani. Se guardiamo il mondo dalla Cina, per esempio, vedremo centinaia di milioni di uomini che in questi anni sono usciti dal medioevo dei loro villaggi, e hanno conquistato un lavoro e una speranza".
E già, la Cina. Il compagno Polito si dimentica sempre di dire che la Cina è un grande Paese comunista e che è stato proprio il comunismo, il capitalismo di stato guidato dal più grande partito comunista del pianeta, a farne l'officina del mondo. Una potenza che grazie all'enorme capitale finanziario accumulato con il lavoro di milioni di operai tiene oggi per le palle il debito sovrano degli Stati Uniti e di altri Paesi dell'Occidente. Una ben strana dimenticanza la sua, dal momento che la Cina, a Polito, un tempo era molto vicina.
La sua biografia su Wikipedia ce lo racconta bene: "Comincia la sua militanza politica nel gruppo maoista Unione Comunisti Italiani" Per chi non lo sapesse l'UCI nel '68 era una setta di adoratori del Libretto Rosso di Mao Tse Tung e organizzatori di non meglio precisati "matrimoni rossi" celebrati dal leader massimo del partito, Aldo Brandirali, che portavano i figli nei cortei vestiti da piccole guardie rosse, meglio nota come Servire il Popolo.
Ma continuiamo a leggere Wikipedia: "Inizia la sua attività giornalistica presso la redazione napoletana de l'Unità, per cui lavora dal 1975 al 1982, avvicinandosi alla corrente politica del migliorismo (quella di Napolitano). Nel 1982 lascia Napoli per assumere l'incarico di responsabile dell'inserto regionale dell'Emilia-Romagna, venendo poco dopo chiamato alla sede romana del quotidiano. Nel 1988 passa a la Repubblica, di cui resta vice-direttore di Eugenio Scalfari prima e di Ezio Mauro poi. Responsabile dell'edizione on-line del quotidiano e corrispondente da Londra, nel 2002 lascia la testata per fondare e dirigere Il Riformista, giornale della sinistra moderata".
Il suo editoriale, anzi la sua lezione di economia politica di oggi continua così: "È così che funziona il capitalismo: distrugge, per creare. Naturalmente il potere pubblico in Europa può e deve agire perché, distruggendo ciò che va distrutto, non si distrugga anche la vita delle persone " menomale che insomma, dice, le persone forse è meglio non distruggerle. "Ma pure per garantire l'equità sociale c'è bisogno di risorse economiche, e pure quelle vengono dalla crescita. Non c'è scampo: senza crescita, non vince nessuno e perdiamo tutti".
Io non sono mai stato un sostenitore della decrescita, ma a leggere Polito mi viene voglia di diventarlo. In tutto l'editoriale non si fa cenno nemmeno una volta alla distribuzione equa della ricchezza come dell'altro motore sociale senza il quale non c'è crescita, sottolineando magari che è stato proprio lo squilibrio insostenibile tra ricchi e poveri che si è enormemente accresciuto in questi anni di strapotere della destra in Usa e in Europa ad aggravare la crisi economica globale. Evidentemente il maoista, comunista, migliorista e riformista Polito non ne tiene il minimo conto.

7 commenti:

Anonimo ha detto...

Caro Arcari, per evitare che la lettura dei giornali sia un esercizio stancante, sfogli ogni tanto "Il Fatto Quotidiano". L'unico quotidiano che oltre a non godere di finanziamenti pubblici, si sofferma davvero sui fatti e non spende il suo spazio per ospitare editoriali fumosi ed inutili come quello (che ho letto anche io) di Polito.
Se poi lei avesse in antipatia Travaglio & co. per l'ampio risalto che danno alla cronaca giudiziaria occorrerebbe ricordarle che l'Italia è tra le nazioni più corrotte d'Europa; questa è la vera causa del declino culturale, politico, economico e sociale della penisola. Così, contrariamente ad altri Stati, per il quale la storia dal secondo dopoguerra in poi si apprenderà sui libri, per l'Italia la si comprenderà appieno leggendo attentamente le cronache giudiziarie. Tanto vale che si cominci a farlo da subito.
Auguri.
Vannucchi

Anonimo ha detto...

Caro Arcari,guarda che la Cina,di cui è disdicevole fare l'apologia,può tenere,col suo enorme capitale finanziariio,per le palle i debiti sovrani del mondo occidentale,in quanto tiene per le palle i milioni di lavoratori cinesi che hanno prodotto quel enorme capitale,quello sì definibile un furto.
In quanto alla crescita,se è dovuta alla produzione e alla distribuzione di beni e servizi utili all'umanità si dice sostenuta dall'uso ed è un bene.
Se è dovuta al consumo tout court,
si chiama spreco ed è un male.
Questo concetto, che condivido, devo averlo appreso dalla lettura di Vita Activa della Arendt.
saluti
pierino favrin

carlo arcari ha detto...

Caro Favrin, lungi da me fare l'apologia del regime comunista cinese, ma è un fatto che l'enorme progresso di quel Paese è dovuto solo ed esclusivamente alle scelte politiche ed economiche del suo governo e dall'accettazione formale di questo modello da parte di Europa e Usa che hanno accolto la Cina nel WTO esattamente 10 anni fa. Io sono stato in Cina e di fronte a quella "Grande Prussia" (ho visitato fabbriche e altri luoghi di lavoro) sono rimasto perplesso. Pechino ha 15 milioni di abitanti, ma è più ordinata di Milano.

nonunacosaseria ha detto...

se polito avesse visto in quali condizioni sono costretti gli operai cinesi ci penserebbe cento volte prima di scrivere che "centinaia di milioni di uomini che in questi anni sono usciti dal medioevo".

carlo arcari ha detto...

Per la verità io ho visitato alcune fabbriche in Cina e di schiavi al lavoro non ne ho visti. Ho visto grandi fabbriche meccaniche di tipo un po' sovietico e aziende di software simili a quelle nostre. So che i salari minimi (150 euro) sono aumentati del +25% nel 2010 e aumenteranno tra pochi giorni di un altro +20%.

Anonimo ha detto...

Caro Arcari,anch'io ho letto l'editoriale delle banalità di Polito.Lui,come altri,è passato dall'apologia del comunismo all'apologia del turbocapitalismo.
Coerenza dell'apologia.
Stupisce la poca fantasia dei falsi innovatori che non sanno immaginare una società più giusta,più uguale,più sostenibile.Insomma più umana.
Dobbiamo pensare alla decrescita?
Non lo so ma di certo "questa crescita" ha portato alla rovina
delle classi medie e più povere.
Ci vuole più coraggio,almeno per gli anni a venire.
Buon 1012.
gianfranco massetti

Anonimo ha detto...

Mah....
E' un argomento spinoso....
E' difficile comprendere la Cina se la chiave di lettura e i parametri rimangono quelli occidentali. Anzi è quasi impossibile.
Per comprendere la Cina occorre innanzitutto accettare il fatto che possa esistere una cultura diametralmente differente alla nostra che esprime un autogoverno dove la collettività nella prospettiva storica è più importante di qualsiasi interesse soggettivo...
Per capirci meglio: il Socialismo di mercato venne instaurato da Deng Xiao Ping negli anni 70, come mezzo e strumento per condurre la Cina fuori dallo sottosviluppo, strumento che negli anni 70 veniva considerato il male minore di fronte al pericolo concreto dell'assorbimento della nazione a un nuovo colonialismo occidentale... Secondo la pianificazione di Deng il Socialismo di mercato avrebbe dovuto terminare il proprio compito all'incirca nel 2050... Parliamo quindi di una scelta economica con un respiro di oltre settant'anni... invito chiunque a trovare nella classe politica occidentale un solo politico capace di ragione in termini di prospettiva oltre il proprio mandato, oppure oltre il proprio ciclo vitale.... Mi limiti a questa riflessione per far comprendere l'abisso politico culturale che ci divide con la Cina... non dico nulla sui luoghi comuni che vengono detti sulle condizioni lavorative dei cinesi... chiunque abbia un minimo di dignità si documenta oltre le chiacchere da bar... e può così scoprire che le lotte sindacali in Cina sono molto più estese delle nostre e stimolate quasi sempre dal PCC al governo, o che la nuova legislazione del gennaio 2011 sulla sicurezza nei luoghi di lavoro è all'avanguardia a livello mondiale, (certo sono conquiste che si stanno rafforzando in questi anni e in continuo sviluppo)....

Marco Z.