Ne abbiamo bevuto tutti, con soddisfazione. Il Seveso nasce buono da millenni in questo boschetto; siamo noi che lo corrompiamo, sfruttandolo e violentandolo per i nostri scopi innaturali. Non lo usiamo infatti per dissetarci, o per irrigare e fecondare il terreno agricolo che ci nutre, ma solo per scaricarci dentro tutte le nostre scorie velenose.
Salite a destra della chiesa dedicata ai Pittori e in una quindica di minuti vi trovate sul dosso vicino a una ex caserma confinaria (oggi trasformata in villino). Scendete dall’altro versante nella valletta dove ci sono i resti delle fortificazioni costruite, dicono, dalle donne del paese, durante la Grande Guerra, quando evidentemente qualcuno pensava che gli austriaci potessero invaderci dalla Svizzera. All’altezza delle trincee si scende tenendo la sinistra e a poche decine di metri si arriva al ponticello di legno che scavalca il neonato Seveso che qui è largo una spanna. La sorgente è proprio sopra a una ventina di metri dalla rete che segna il confine racchiusa in una casetta di sasso con un’inferriata che difende la polla da cui sgorga. Un piccolo e umile tempietto dedicato ad un dio, minore, ma pur sempre da rispettare.
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