domenica 6 febbraio 2011

Eureco: le donne dicono "vogliamo giustizia"

Ieri il Giorno ha pubblicato un bell’articolo che vale la pena di segnalare e rileggere. Il servizio firmato dalla collega Simona Ballatore, riguardava la tragedia senza fine della Eureco ed era dedicato alle vedove dei lavoratori caduti. Dando loro la parola la giornalista ci ha consentito di vedere questo evento dal loro punto di vista e di sapere cosa si aspettano ora dalle istituzioni che governano la nostra comunità.
“Donne coraggiose, costrette a farsi carico di un dolore più grande di loro: hanno condiviso i sacrifici dei loro compagni, la stanchezza dopo una giornata di lavoro duro, a spostare, caricare e scaricare rifiuti per tirare avanti. Anche quel maledetto 4 novembre li hanno visti alzarsi come tutte le mattine – ha scritto Simona Ballatore che ha seguito come cronista tutta la vicenda fin dall’inizio -. L’ultima fotografia impressa nella mente: quel saluto sulla soglia di casa. Non hanno fatto più ritorno. Non stavano partendo per la guerra, stavano solo andando al lavoro”.

Un’osservazione corretta. Non stavano andando in guerra i quattro morti bruciati vivi in quel maledetto capannone, eppure, forse senza esserne coscienti, proprio questo facevano: andavano tutti i giorni a rischiare la vita, perché questo estremo rischio faceva parte del loro lavoro quotidiano. Prova ne sia che, proprio come loro, in un’altra azienda dello stesso proprietario, cinque anni fa era morto un operaio addetto a mansioni simili. Un omicidio colposo per il quale il titolare della Eureco, riconosciuto colpevole, se l’era cavata a buon mercato patteggiando la condanna di un anno con la condizionale. Si può considerare questa sanzione adeguata e giusta? Tanto poco vale la vita umana?
I lavoratori di Palazzolo forse ignoravano questa realtà, ma le loro donne adesso lo sanno che andando al lavoro ogni mattina rischiavano la vita e si ribellano all’idea che la loro morte tragica e dolorosa possa venire definita “una ineluttabile fatalità” come vorrebbero in troppi, a cominciare dal proprietario dell’azienda.  “Non ci interessano risarcimenti, nessuno potrà più restituirci i nostri compagni – dicono le mogli e le compagne dei caduti -. Ma giustizia, quella sì. La chiediamo con tutte le nostre forze, la pretendiamo. Non si può morire di lavoro”.
Come si può ignorarle, come non aggiungersi alla loro voce che grida "giustizia"? Eppure molti personaggi della destra padernese continuano ad accusare me e quelli che come me chiedono di sapere la verità sulla morte violenta di quattro persone, di “strumentalizzare” politicamente una tragedia sulla quale secondo loro dovrebbe invece calare il silenzio. Ancora ieri un anonimo mi accusava su un blog di “creare polemiche anche di fronte alla morte di un altro lavoratore, mostrando mancanza di educazione e rispetto nei confronti dei loro famigliari" e mi intimava di "vergognarmi".
Ebbene, cari concittadini, io non solo non mi vergogno, ma ritengo mio preciso dovere continuare a sollevare clamore ed attenzione attorno a questa strage che troppi nella nostra città vorrebbero invece quietare come gli atti fin qui compiuti (e non compiuti) purtroppo dimostrano. La strage della Eureco è un fatto di importanza nazionale e io considero dei sepolcri imbiancati tutti coloro, a cominciare dagli amministratori di Paderno Dugnano, che in questi tre mesi hanno agito di fatto per ridimensionare l’impatto della tragedia e ridurla a un fatterello di cronaca locale. Io affermo invece che, come i sette morti della Thyssenkrupp, anche i quattro morti della Eureco meritano tutta l’attenzione, la giustizia e il rispetto che gli sono dovuti, non solo dai padernesi, anime ripiegate ormai solo sui fatti loro, ma di tutto il Paese.
Perché la morte violenta di quattro esseri umani che volevano solo guadagnarsi onestamente da vivere non può venire dimenticata o peggio, rimanere sostanzialmente impunita. Non dobbiamo permetterlo.

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