domenica 24 gennaio 2010

Lager, memoria, giovani d'oggi e di ieri

La prossima settimana saranno molti gli incontri e le iniziative che si terranno in Europa, in Italia e anche a Paderno Dugnano, per ricordare la Shoah. “Il Giorno della Memoria”, 27 gennaio, è stato istituito proprio per questo, per non dimenticare. Io ho già cominciato a farlo per mio conto leggendo e meditando, su libri e testi che l’archivio globale della rete internet conserva per noi e che la benedizione di Google ci consente di trovare con facilità. Ieri sera mi sono riletto alcune pagine di “Se questo è un uomo”, un libro che è bene tenere in casa e rileggere, anche solo alcuni brani, almeno una volta l’anno. Oggi, cercando sul web altri scritti di Primo Levi, ho trovato il brano di un’intervista rilasciata dallo scrittore negli anni 80 che mi ha colpito. Alla domanda “Che pensa dei giovani d' oggi?” egli rispose: “La differenza fondamentale tra la nostra giovinezza e la giovinezza attuale è nella speranza di un futuro migliore, che noi avevamo in modo clamoroso e che ci sosteneva anche negli anni peggiori, anche nel lager: la meta c' era ed era costruire un mondo nuovo di uguali diritti, dove la violenza era abolita o relegata in un angolo, costruire il Paese per riportarlo a livello europeo. Invece, i giovani d' oggi, mi pare abbiamo molte meno speranze. In generale vedo che tendono a scopi immediati, e questo forse è anche abbastanza giusto, in quanto non distinguono un altro futuro”.

Sono passati 30 anni, ma mi sembra che le parole di Levi siano ancora attuali: c’è una cesura tra le generazioni del 45 e del 68 e quelle degli anni 85 e 2000. Quando mi capita di parlare con la mia figlia maggiore di questo, ha 36 anni e fa di mestiere la psicologa dell’età evolutiva, lei mi risponde che i giovani oggi soffrono della difficoltà di proiettarsi in un futuro in cui possano immaginarsi di essere amati, di avere successo, sentirsi utili e riconosciuti. Nel loro rincorrere i modelli televisivi che possono apparire effimeri (Grande Fratello, Amici, Veline, ecc) c’è in nuce il bisogno di rappresentarsi agli altri con qualcosa di nuovo, di unico e di personale da affermare.
La grande differenza forse è che i giovani oggi non inseguono l’obiettivo di costruire insieme agli altri il mondo nuovo, ma quello di costruire il mondo nuovo personale di cui hanno un desiderio spesso disperato. Appare come una ricerca individualistica del successo, ma non è frutto di una libera scelta. E’ la forma, imposta come l’unica possibile dalla cultura dominante, con la quale essi possono esprimere il bisogno, umano, universale e specifico dell’età giovanile di affermarsi e proiettarsi nel futuro.
Chi si pone oggi politicamente il problema dell’alternativa deve attrezzarsi per questa nuova e grande battaglia culturale. Il problema non è tanto di mezzi e di possesso dei mezzi di comunicazione di massa, come ancora si tende a credere, ma è quello di elaborare i nuovi contenuti culturali dell’alternativa proposta. Qui manca e ancora non emerge il pensiero nuovo, capace di descrivere e indicare con chiarezza ai giovani come a tutti noi il profilo e l’immagine del mondo nuovo “di uguali diritti, dove la violenza era abolita o relegata in un angolo” di cui parlava Levi. Oltre il lager, oltre lo schermo televisivo.

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