Anche quest'anno il giorno del mio
compleanno (21 agosto), ho avuto la mia solita crisi depressiva.
Dall'agosto 1986, quando ho compiuto i 40 anni, è ogni volta così.
Mi sveglio nervoso e mano a mano che
passano le ore il mio umore diventa sempre più nero, la mia
personalità si ritira in una grotta buia, piena di pensieri tristi e
rancorosi perché comincio a tirare fuori dai cassetti della memoria
tutte le cose brutte e dolorose della mia vita. Le persone intorno mi
infastidiscono, se poi cercano di entrare nel mio buco di infelicità,
magari per festeggiarmi, le respingo con asprezza e rifiuto ogni
contatto. Resto così immusonito fino a sera quando con l'arrivo del buio il mio
animo si distende e l'amarezza uscita dal mio cuore per incanto
rifluisce.
Ho ripensato ieri a quando e dove tutto
questo è cominciato. Ero a Ginostra sull'isola di Stromboli ospite
di mio fratello che gestiva quell'anno una specie di
bazaar-ristorante in una delle più belle case del piccolo borgo frequentato (allora) da frotte di giornalisti e intellettuali di sinistra per i quali Mario andava ogni giorno a prendere con la barca a Ficogrande, il Manifesto e Repubblica.
Mi ero rifugiato sull'isola per allontanarmi da una storia
d'amore assurda e improbabile con la quale avevo cercato di superarne un'altra ben più seria e importante che si era chiusa in modo doloroso. Purtroppo, a causa della mia debolezza, mi ero trovato
appiccicata un'altra donna che dopo essersi aggregata a forza alla
compagnia di amici con la quale avevo fatto il giro della Sicilia, mi aveva
voluto seguire anche a Stromboli e la sua presenza indesiderata mi metteva molto a disagio.
Mi sentivo come un animale preso in trappola e due giorni prima del mio compleanno, mentre camminavo su un sentiero, avevo visto una scena che mi aveva turbato: un serpente nero con in bocca un topolino bianco rinculava nel suo buco scavato nella terra rossa. Il segno mi apparve chiarissimo, il topolino ero io in balia degli eventi che mi portavano verso il disastro. Dovevo rompere la gabbia al più presto.
Arrivai a Napoli il 21 agosto, giorno
del mio 40mo compleanno, ansioso di tornare subito nel mio bilocale da
scapolo in piazza Gambara a Milano. Al ristorante del rapido che presi
alla stazione di Mergellina sentii l'urgenza di raccontare la mia fuga precipitosa da Ginostra a una
signora sconosciuta che l'ascoltò divertita. Mi rimproverò per la
mia scortesia, ma capì il mio stato d'animo e mi consigliò
amichevolmente di affrontare con più calma il futuro. "Quarant'anni
sono un'età molto delicata per voi uomini – disse –. Finisce per sempre la
giovinezza e comincia l'età matura alla quale non siete mai preparati.
In mezzo alla transizione, tra un'età e l'altra, vivete una specie
di maladolescenza burrascosa e il rischio di fare fesserie in questo periodo è molto alto".
Queste parole mi girarono nel cervello
e arrivato finalmente a casa, mentre sulla città deserta esplodeva un violento
temporale agostano, mi abbandonai senza difese alle mie paure e insicurezze
lasciandole affiorare e scoppiare come bolle di gas velenoso sulla superficie
della mia coscienza. Fu un'esperienza traumatica, che mi spinse nelle
settimane successive a fare una dopo l'altra una serie di pericolose fesserie
contro le quali la signora del treno mi aveva messo in guardia. Uscii da quella tempesta emotiva solo sei mesi dopo grazie a un intervento improvviso e inaspettato che ancora oggi considero "divino" perché mi restituì di colpo identità e futuro tirandomi fuori dal pelago in cui mi ero cacciato e rimettendomi in carreggiata.
Ecco perché da allora il mio
compleanno è per me un giorno pericoloso che affronto sempre ritirandomi in
una tana profonda e sicura come un animale selvatico spaurito.
Resta ancora oggi un giorno di bilanci severi delle cose che avrei voluto fare
ma non sono stato capace di affrontare, dei fallimenti, delle sconfitte e dei
rimpianti. Insomma mi faccio del male impietosamente per un giorno. Poi finalmente la nuvola nera di scontento al tramonto si allontana e sbiadisce.
E mentre scende la sera e le stelle cominciano a punteggiare il morbido mantello della notte estiva per consolarmi mi dico sempre: domani è un altro
giorno.
3 commenti:
Che ti devo dire, io ho problemi simili da prima dei 40 anni, anche perché ho fallimenti peggiori dei tuoi. A 40 non ho una famiglia né un percorso professionale ben impostato. E non sono le uniche cose che mi mancano e che ogni giorno mi fanno sentire insufficente.
Io cerco di rigirare la frittata così: la polvere nella parte alta clessidra è sempre meno, non c'è più tempo per certe cose. Questo ragionamento mi ha aiutato quando la storia più intensa della mia vita è finita pochi anni fa in maniera squallida. La cicatrice c'è anche adesso ma un giorno dopo ero già uscito per locali laddove alcuni si tolgono la vita per molto meno.
Per i tormenti, le lunghe sessioni di depressione, tristezza, etc etc avrò molto tempo...nell'altro mondo.
che vi posso dire? che vi leggo volentieri ma c'è di peggio forza, sono uscito da morte certa e 33 gg di coma una emiparesi sinistra che mi impedisce ancora di deambulare autonomamente ma voi mi deprimete di più scherzando posso dirvi siete messi peggio del PD
ammetto letto piaciuto copiato, ma non vale perché so che chi lo ha scritto ha dimestichezza con la penna e conosce bene l'impostazione delle parole MA!! dissento a me i 40 sono piaciuti molto, la depressione incombe dopo. Quando riuscirò a deambulare autonomamente magari al (caffè letterario ) ve lo dimostrerò (sempre lo vogliate) naturalmente
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