sabato 14 dicembre 2013

Mandela sulla bacheca de Il Sole-24 Ore

Nelson Mandela, verrà sepolto domani nel suo villaggio ancestrale di Qunu nel Nord del Sudafrica.  Leader politico e simbolo del movimento anti-apartheid, ebbe un ruolo determinante nella caduta del regime razzista bianco del suo Paese, pur passando in carcere gran parte della sua vita. Liberato dopo 26 anni di prigionia nel 1990 venne eletto presidente nel 1994 alle prime elezioni multirazziali del Sudafrica che governò a lungo.
La mia strada incrociò la sua una mattina del 1989 nel corridoio della redazione de il Sole 24-Ore in via Lomazzo a Milano. Il quotidiano di Confindustria per il quale lavoravo dal 1987 era l'unico grande giornale europeo ad aver pubblicato qualche giorno prima una pubblicità a piena pagina, pagata dal governo razzista afrikaner guidato da Pieter Willem Botha, nella quale si affermava che in Sudafrica non c'era l'apartheid, non c'erano razzismo e violazione di diritti civili e umani, ma solo terroristi comunisti, cioè i membri dell'African National Congress il cui leader Mandela era in gabbia a Robben Island.
La campagna pubblicitaria era stata decisa dal governo di Pretoria perché ormai anche molte grandi corporation americane ed europee avevano abbandonato il Sudafrica aderendo così alla richiesta di abolizione della segregazione razziale che proveniva da gran parte del mondo.
Il direttore del Sole, Gianni Locatelli, un giornalista abile e capace, democristiano di sinistra di Desio, amico personale di Ciriaco De Mita e Carlo De Benedetti, era in difficoltà. Da un anno Confindustria era ricaduta sotto il pesante tallone di Cesare Romiti. Il roccioso supermanager  Fiat, forte dei 105 miliardi (lire) di liquidazione appena ottenuta da Agnelli, aveva imposto ai vertici dell'associazione degli industriali italiani un suo uomo, Antonio D'Amato, e aveva ripreso anche il controllo sul quotidiano economico nazionale mentre a Roma governava il CAF (Craxi-Andreotti-Forlani). Evidentemente per via di questa debolezza politica, Locatelli non aveva potuto rifiutare la pubblicità palesemente falsa del governo Sudafricano e l'aveva pubblicata.
I giornalisti, tra cui io, per qualche giorno non avevano reagito alla pubblicazione che li copriva di vergogna fino a quando un tecnico del sistema informatico editoriale attaccò nella bacheca della redazione un foglietto in cui si denunciava il nostro colpevole silenzio. Allora il CdR fu obbligato ad agire, ma per evitare di entrare in conflitto con editore e direttore si limitò a pubblicare sul giornale di quella mattina un comunicato di condanna della inserzione pubblicitaria che veniva definita falsa, e del governo razzista sudafricano, ma senza dire una parola sul comportamento di proprietà e direzione del giornale coinvolte nella diffusione (a pagamento) della campagna stessa.
Il comunicato ipocrita che cercava inutilmente di mettere una toppa al buco, mi costrinse a rompere il silenzio per salvare l'onore della redazione e il mio personale. Scrissi in fretta con un pennarello nero su un foglietto, usando il mio solito linguaggio diretto, quello che pensavo della scelta del CdR e soprattutto denunciai il comportamento della proprietà del giornale e del mio direttore, Locatelli, che era responsabile e garante di fronte a tutti noi della correttezza di quanto veniva pubblicato sul Sole 24-Ore, pubblicità compresa.
L'effetto fu quello di un macigno gettato nello stagno. Mezz'ora dopo il mio foglietto (la bacheca era proprio di fronte all'ufficio del direttore) era sparito. Io non mi scomposi, lo riscrissi e lo appesi di nuovo. Allora cominciarono le telefonate. Mi chiamò il caporedattore centrale, Massimo Donelli (il più giovane giornalista iscritto alla P2, oggi dopo una lunga carriera come direttore di testate Mediaset, gruppo in cui conserva la carica di direttore dell'area Sviluppo e Comunicazione Tv, è docente alla Cattolica e all'Università San Raffaele), mi disse di non fare lo scemo, di togliere il foglietto o sarebbero stati guai seri, che non mi conveniva, ecc. Io gli risposi che non lo toglievo.
Poco dopo anche il mio secondo messaggio sparì dalla bacheca, ma a questo punto il CdR devette intervenire seriamente. I cari collegi andarono dal direttore e gli dissero che se non avesse immediatamente bloccato la campagna sudafricana, che prevedeva l'uscita di altre due o tre pagine, avrebbero dichiarato lo sciopero.
La campagna fu bloccata e l'onore del Sole fu salvo. Ma indovinate come andò a finire? Pochi mesi dopo, nel febbraio 1990, Nelson Mandela venne liberato e io entrai nel cono d'ombra. Massimo Donelli passò a Mondadori dove iniziò la sua luminosa carriera alla corte di Berlusconi, ma io venni emarginato. La mia proposta di fare una pagina settimanale di Ambiente venne respinta e pochi mesi dopo, quando scattò il consueto giro di nomine, al mio posto venne promosso un altro collega che si pigliò la mia carica mentre a me restava tutto il lavoro da fare. Il CdR protestò formalmente per la mia mancata nomina, ma nessuno si stracciò le vesti più di tanto e io capii che la mia carriera al Sole era finita.

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