domenica 3 novembre 2013

La politica e il buco nero dell'Io

Il rapporto tra cittadini e politica è un buco nero nel quale è precipitata 20 anni fa la nostra democrazia e da allora non ne è più uscita. Il buco nero è la soggettività irresistibile del "Io", liberato dall'imporsi del pensiero debole postmoderno che ha attratto la materia viva della politica inghiottendola e lasciando al suo posto un vuoto riempito da populismi di ogni genere.
Prova ne sia che oggi ricominciare a discutere ed agire in modo politico è quasi impossibile per mancanza di interlocutori. E' un problema di linguaggio, si dice, di forma della comunicazione, che limita la relazione tra politica e cittadini e riduce a zero la partecipazione. "Bisogna ripartire dall'aggregazione – mi ha scritto con la sicurezza della giovinezza un amico al quale chiedevo di impegnarsi insieme a me e altri per elaborare un nuovo programma politico - ad esempio unendo aspetti ludici e culturali per dare un’immagine del 'serio ma non troppo' che strappi i cittadini dal torpore e dalla rassegnazione e che li spinga ad interessarsi alla cosa pubblica".
Questa idea della partecipazione politica recuperabile con il linguaggio della festa e del divertimento, che viene percepita e affermata come nuova, in realtà è antica ed è stata praticata anche in passato. Ma veniva allora perseguita sulla base di un pensiero forte, di un progetto, di un programma i cui lineamenti venivano presentati anche in forma ludica per essere meglio compresi da tutti. Insomma, la "festa" la si faceva quando le idee e gli obiettivi erano stati definiti, discussi e condivisi a livello politico, non prima.
Il problema che abbiamo davanti oggi è un altro e ben più impegnativo. Dobbiamo costruire e discutere nuove idee politiche, definire nuovi obiettivi da indicare ai cittadini per coinvolgerli in un nuovo progetto di sviluppo della nostra vita democratica.
Insomma prima le idee, l'elaborazione collettiva e il confronto politico, poi il programma e la sua comunicazione. I tempi sono diversi e separati perché non può avvenire tutto insieme. La rivoluzione non è una conversazione su facebook.
Ma i giovani adulti di oggi faticano ad accettare il fatto che lo studio e il pensiero vengono prima dell'azione. Ripensando alla mia esperienza giovanile questa differenza generazionale che rende impervio il dialogo, mi appare incolmabile. Io sono stato attirato dalla politica nei primi anni 70 perché avevo capito che solo attraverso la partecipazione politica potevo da semplice cittadino valorizzare le mie idee e acquisire le competenze necessarie per sviluppare la mia personalità, affermare la mia identità e dare un contributo originale alla società del mio tempo. La politica per me è stata una scuola e un laboratorio di ricerca dai quali sono uscito formato culturalmente e professionalmente.
Oggi i giovani rifiutano questo approccio perché lo considerano troppo faticoso e poco "divertente" e siccome guardano al mondo partendo dalle loro percezioni soggettive, credono che  inseguire i propri "vorrei" in modo ludico, "serio ma non troppo", sia il modo nuovo e vincente di far politica. La teoria, frutto dello studio e dell'esperienza sul campo, non serve. Il linguaggio della politica, nato dalla elaborazione pratica della teoria, è considerato troppo difficile, tecnico, da addetti ai lavori. 
Ma senza teoria, un uomo è come un sacco di plastica pieno di vento che, quando piove, finisce nel fango, calpestato dai piedi dei consumatori che si spintonano per entrare negli outlet a comprare i regali di Natale.

Nessun commento: