domenica 3 novembre 2013

4 novembre, la carica di Albino e i canederli di nonna Maria

Il 4 novembre si celebra in Italia la Festa delle Forze Armate a ricordo del sacrificio dei quasi settecentomila giovani soldati morti per difendere la Patria nella prima guerra mondiale quasi un secolo fa.
La data ricorda il Bollettino della Vittoria con il quale venne annunciata nel 1918 la resa dell'Impero Austro-Ungarico all'Italia che poneva fine a quella che l'allora pontefice Benedetto XV definì una "inutile strage".
Il testo, fuso nel bronzo delle artiglierie catturate al nemico, si concludeva con la frase: I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano discese con orgogliosa sicurezza. Firmato: Diaz.
Il Bollettino divenne talmente famoso che molti bambini italiani nati dopo il 1918 vennero chiamati "Firmato", nome imposto loro da padri che credevano fosse questo il nome del vittorioso generale Diaz.
Da piccolo il 4 novembre era la "mia" festa". Perché era il giorno di San Carlo, che oltre ad essere il mio nome era quello di mio nonno materno e la famiglia aveva fatto di questa ricorrenza la vera festa del clan che si svolgeva sempre allo stesso modo. Al mattino mio nonno mi portava a visitare la caserma Perrucchetti sede del reggimento di artiglieria a cavallo "Voloire" (volanti) dove oltre ad ammirare i carri armati andavo a trovare il mitico Albino. Così si chiamava il cavallo, unico reduce equino della carica di Isbuscenskij (ultima carica del Savoia cavalleria sul fronte del Don) dalla quale uscì ferito ad un occhio trasportando ancora in sella il suo cavaliere ucciso dal fuoco nemico.
Nella scuderia di quel vecchio e glorioso animale (morto nei primi anni 60 a Merano) era custodita anche la sella completa di finimenti, la sciabola e le altre armi d'ordinanza del suo cavaliere, il sergente maggiore Fantini.
Dopo la visita alla caserma c'era il pranzo con i piatti classici che oltre agli antipasti, comprendeva i canederli in brodo e i crauti cucinati da mia nonna Maria. Lei era nata a Madonna di Tirano, ma fin dalla prima infanzia aveva vissuto in Germania con i genitori che lavoravano nelle miniere dove aveva conosciuto mio nonno, nato in Tirolo da famiglia trentina, rimasto orfano ed emigrato anche lui come minatore con i fratelli nel 1920, dopo aver combattuto in guerra nell'esercito del Kaiser.
I miei nonni erano di madrelingua tedesca e avevano imparato l'italiano dalla loro prima figlia, mia madre, dopo essere venuti a Milano nel 1931. Per questo motivo, la cucina di mia nonna era quella povera della sua giovinezza: i canederli fatti di pane raffermo, carne lessa di manzo e tacchino, salsiccia o prosciutto, prezzemolo, noce moscata, e i crauti cotti per tre o quattro ore in due giorni successivi con le costine di maiale, ai quali aggiungeva all'ultimo momento dei wurstel affumicati per insaporirli. Buonissimi con le patate lesse.
Nel pomeriggio, mentre il resto della famiglia apriva la bisca con il settemmezzo, io e mio nonno uscivamo per andare al Trotter di fianco allo stadio di San Siro dove lui scommetteva su qualche cavallo per chiudere in bellezza una giornata speciale di cui ricordo ancora con nostalgia i profumi autunnali di cibo povero tedesco, sigaro toscano, letame equino e foglie morte.

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