Favrin mi incita a scrivere di letteratura e io ne approfitto per condividere con voi una rilettura di oggi che mi è sembrata pertinente e adeguata al tono delle cupe riflessioni dei giorni scorsi.
Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa è un capolavoro in tutti i sensi. 180 paginette che una dopo l'altra sprofondano il lettore in un mondo bellissimo e tremendo, quello della Sicilia, ricca e disperata, dove quasi ogni strada ridotta a discarica di rifiuti porta a scoprire una meraviglia dell'arte e della natura.
Un'isola che in venticinque secoli è divenuta scrigno di "magnifiche civiltà eterogenee, tutte venute da fuori già complete e perfezionate, nessuna germogliata da noi stessi, nessuna a cui abbiamo dato il là; noi siamo dei bianchi quanto lei e la regina d'Inghilterra, eppure da duemilacinquecento anni siamo colonia".
Leggere per la prima volta i dialoghi colti, le descrizioni vivide o cupe, le storie narrate da Tomasi di Lampedusa in questo breve romanzo, denso e prezioso come l'oro fuso, è una scoperta che consiglio ai miei lettori soprattutto i più giovani. Per sapere che è anche questa la loro eredità culturale.
Il principe di Salina, figura centrale di questa vicenda che si svolge nel cruciale periodo di passaggio dalla monarchia Borbonica al Regno d'Italia, dallo sbarco dei Mille alla malinconica sparatoria d'Aspromonte che mandò prigioniero ed esule Garibaldi a Caprera, condensa in una famosa sentenza lo spirito del suo tempo: "Se vogliamo che tutto rimanga com'è, bisogna che tutto cambi". Cinica legge che sembra governare le cose italiane.
Quello che per i liberali e i patrioti era il coronamento di un sogno, l'unità d'Italia che avrebbe fatto entrare il Paese nel mondo moderno, per il principe "gattopardo" era solo l'ennesimo mutamento senza contenuti, "dialetto piemontese al posto del dialetto napoletano" un palliativo che garantiva alla sua classe sociale, che egli considera decadente se non già morta, la prospettiva di un secolo che per essa equivaleva all'eternità.
L'autore del romanzo, pubblicato postumo nel 1958, un anno dopo la sua morte, trasse ispirazione da vicende della sua antica famiglia e in particolare dalla vita del suo bisnonno, il Principe Giulio Fabrizio Tomasi di Lampedusa, vissuto negli anni cruciali del Risorgimento. Come molti altri famosi romanzi, venne rifiutato dai grandi editori di allora, Einaudi e Mondadori, e fece la fortuna di Feltrinelli che invece lo pubblicò. Un anno dopo ricevette il Premio Strega divenendo il primo best seller italiano con oltre 100.000 copie vendute.
Nel 1963 fu ridotto nel film straordinario di Luchino Visconti interpretato dai grandi attori italiani e mondiali dell'epoca, Burt Lancaster e Paolo Stoppa, e da giovani star quali Alain Delon e Claudia Cardinale. Il titolo del romanzo ha l'origine nello stemma di famiglia dei Tomasi ed è così commentato nel romanzo dal principe stesso: "Noi fummo i Gattopardi, i Leoni; quelli che ci sostituiranno saranno gli sciacalletti, le iene; e tutti quanti Gattopardi, sciacalli e pecore continueremo a crederci il sale della terra".
1 commento:
A questo punto si potrebbe suggerire ai giovani lettori
il romanzo "I Vicerè" di Federico De Roberto,più lungo,meno noto,ma altrettanto godibile e utile per conoscere le vicende siciliane nel passaggio dal regno borbonico al regno d'Italia,.
pierino favrin
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