venerdì 10 febbraio 2012

Foibe: il sacrificio degli italiani di Istria e Dalmazia


Oggi 10 febbraio si è celebrato il "Giorno del Ricordo" istituito dalla Repubblica Italiana per ricordare gli eccidi e le deportazioni di migliaia di nostri connazionali di Istria e Dalmazia avvenuti negli anni a cavallo della fine della seconda guerra mondiale per mano delle milizie croate di Tito. Molte vittime di quella pulizia etnica vennero gettate cadaveri o ancora vive nelle foibe, grotte carsiche a strapiombo, la più grande delle quali, quella di Basovizza è oggi divenuta monumento nazionale (nella foto).
È in quelle voragini dell’Istria che fra il 1943 e il 1947 finirono quasi diecimila italiani. La prima ondata di violenza esplose subito dopo la firma dell’armistizio dell’8 settembre 1943: in Istria e in Dalmazia i partigiani slavi si vendicarono contro i fascisti e gli italiani non comunisti. Torturarono, massacrarono e poi gettarono nelle foibe circa un migliaio di persone. Li consideravano “nemici del popolo”. Ma la violenza aumenta nella primavera del 1945, quando la Jugoslavia occupa Trieste, Gorizia e l’Istria.
Le truppe del Maresciallo Tito si scatenarono contro gli italiani. A cadere dentro le foibe furono fascisti, cattolici, liberaldemocratici, socialisti, uomini di chiesa, donne, anziani e bambini. Una carneficina che testimonia l’odio politico-ideologico e la pulizia etnica voluta da Tito. La persecuzione proseguì fino alla primavera del 1947, fino a quando, cioè, venne fissato il confine fra l’Italia e la Jugoslavia. Ma il dramma degli istriani e dei dalmati non finì allora.
Per molti anni, troppi, questa tragedia venne negata o nascosta. "Ricordare i capitoli dolorosi delle foibe e dell'esodo giuliano-dalmata è un dovere a cui abbiamo mancato per oltre cinquant'anni. A questi poveri nostri fratelli che hanno pagato per tutta l'Italia la cambiale della Seconda Guerra Mondiale non abbiamo mostrato alcuna gratitudine, anzi, abbiamo cercato di cancellarli" ha scritto lo storico Arrigo Petacco.
Perché questo silenzio lungo sessant'anni? Un altro storico, Gianni Oliva, lo spiega così: "Un silenzio dovuto a una convergenza di interessi internazionali: con Tito ormai divenuto nostro interlocutore, era esplicita la subordinazione politica alle esigenze del comunismo internazionale e al nazionalismo titino. E poi c'era la contraddizione del Pci,che aveva una politica estera internazionalista in contrasto con quella nazionale. Il silenzio fu dovuto, in fondo, a un'elaborazione della memoria secondo la quale bisognava far finta che la guerra l'avessimo vinta noi. In realtà, la guerra l'abbiamo persa e la testimonianza della sconfitta sono proprio le foibe. Riconoscere che i morti delle foibe sono vittime di tutta l'Italia è premessa indispensabile per essere Nazione fino in fondo".

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