venerdì 23 aprile 2010

Cronache della crisi che Berlusconi nega

Ieri mi hanno avvertito che una collega giornalista in cassa integrazione si è suicidata gettandosi dalla finestra della casa dei genitori con i quali era tornata ad abitare perché la mancanza di reddito le impediva di continuare a vivere da sola. Sempre ieri sul giornale ho letto che un imbianchino veneto si è impiccato perché i clienti non lo pagavano e non riusciva più a mantenere mogli e figli. A Reggio Calabria, un commesso licenziato ha tentato di uccidere (senza per fortuna riuscirci) il padrone del negozio che lo aveva licenziato. A Firenze, infine, i Carabinieri hanno denunciato un gruppo di casalinghe indigenti costrette a prostituirsi in un garage per tre ore al giorno.
Queste le notizie di giornata, cronache di una crisi economica di cui Berlusconi e i suoi collaboratori negano l’esistenza. La recessione, invece, peggiora di giorno in giorno e gli spazi di iniziativa e di alternativa si restringono progressivamente. Il modello made in Italy stirato oltre il limite dell’elasticità si è rotto e non funziona più. La soluzione per rivitalizzarlo senza cambiarlo, portare avanti cioè la solita politica del cambiare tutto per non cambiare niente, non verrà questa volta dall’esterno. Il problema va risolto al nostro interno con una nuova politica industriale e produttiva basata su scelte precise di trasformazione sociale che partendo dall’analisi della composizione tecnica, economica e culturale della nostra società, metta in campo una nuova proposta con obiettivi chiari di breve, medio e lungo periodo.

Il momento che stiamo vivendo è per certi versi simile a quello della seconda metà degli anni 70, quando l’Italia era di fronte a una profonda crisi che vedeva prossima al tramonto la politica industriale del Paese, basata sul compromesso pubblico-privato che guidava l’economia. La grande industria era ormai al capolinea e non era più in grado di garantire la “piena occupazione” e un livello adeguato di produttività, di creazione di ricchezza e di distribuzione del reddito. Da quella crisi e dalla ristrutturazione che ne seguì, uscì il modello attuale che ha vissuto un ciclo anche virtuoso durato 30 anni, ma oggi è morto. L’accanimento terapeutico con il quale la destra berlusconiana si ostina a tenerlo in vita incontra il favore degli elettori perché il centro sinistra non ne propone ancora uno nuovo. A questo punto è evidente che la destra governa solo perché la sinistra non scende in campo, ma questa situazione è insostenibile e non può durare. Se un giocatore fa il solito gioco inconcludente e l’altro non si decide a uscire dagli spogliato, il campionato finisce e la gente abbandona lo stadio.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Queste persone mi ricordano quella storia dove un il bambino vedendo che il re non indossava vestiti, contrariamente a tutti i sudditi compiacenti, dice che è il re è nudo.
Queste persone travolte dalla crisi così tragicamente, con la loro morte gridano al mondo la verità su una situazione molto grave. Sono morti di cui non si parlerà molto, poichè a nessuno piacciono le brutte storie e si preferisce chiudere gli occhi e non vedere. La gente sa che ciò che propina la politica non è la realtà ma finge di crederci, per stanchezza e perchè non ha alternative.Si preferisce credere a stupidaggini come "l'Italia che sta meglio rispetto a molte altre nazioni" o al "Paese che sta lentamente uscendo dalla crisi". Ci si lascia cullare nell'illusione.
Ed è per questo che se qualcuno muore vittima della crisi oppure vedere operai in lotta, dà fastidio.. perchè si mostra al mondo la parte marcia della mela.