Il governo Berlusconi introduce le nuove norme a tutela del made in Italy, ma le congela subito prendendo in giro i piccoli produttori e gli artigiani, schiacciati dalla concorrenza asiatica.
Lo scorso 15 agosto è entrata in vigore la “Legge Sviluppo” 99/23 luglio 2009 contenente una norma a tutela della nostra produzione che avrebbe dovuto impedire ai prodotti realizzati interamente all'estero da aziende italiane di circolare nel nostro Paese con l'etichetta “Made in Italy”. Avrebbe, perchè il Governo, a seguito della levata di scudi di Confindustria, che da sempre difende la delocalizzazione produttiva delle aziende fregandosene di distruggere la nostra economia reale, ha subito fatto marcia indietro e "congelato" la sua stessa legge, rimandandone l'entrata in vigore dopo che a livello europeo saranno definite nuove regole doganali in materia.
La legge recante “Disposizioni per lo sviluppo e l'internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia”, inasprisce le sanzioni anti-contraffazione prevedendo che "costituisca falsa indicazione la stampigliatura Made in Italy su prodotti e merci non originari dall'Italia ai sensi della normativa europea sull'origine […] costituisce fallace indicazione l'uso di marchi di aziende italiane su prodotti o merci non originari dell'Italia ai sensi della normativa europea sull'origine senza l'indicazione precisa, in caratteri evidenti, del loro Paese o del loro luogo di fabbricazione o di produzione, o altra indicazione sufficiente ad evitare qualsiasi errore sulla loro effettiva origine estera".
Molte le aziende colpite direttamente dal nuovo testo di legge costrette ora, se importatrici in Italia di merci o prodotti recanti un marchio di un'azienda italiana, ad apporre l'indicazione di origine del paese di fabbricazione o di produzione ai sensi della normativa europea, per non incorrere nella violazione prescritta.
I provvedimenti legislativi a tutela del "fatto in Italia" segano le gambe a tutte quelle imprese italiane che delocalizzano all'estero la propria produzione per beneficiare di costi di lavoro più bassi o che da anni commissionano prodotti all'estero “su indicazione” per poi rivenderli sul mercato italiano come fatti in Italia. Inoltre, le aziende comunitarie che delocalizzano e fabbricano i propri prodotti all'estero non sono soggette attualmente ad alcun obbligo di indicazione geografica di produzione delle merci nel momento in cui le rivendono nei rispettivi territori. Ciò costituisce una significativa discriminazione a discapito delle produzioni nazionali, costrette, invece, a specificare sul prodotto il luogo di fabbricazione/origine nonostante la proprietà italiana del marchio.
Dal 15 agosto dopo la sua entrata in vigore la legge 99 sull'etichettatura di origine ha scatenato una serie di reazioni contrastanti: Confartigianato era favorevole al mantenimento della norma, in contrapposizione alla richiesta confindustriale di una immediata abrogazione. Risultato dello “scontro” una nuova riunione del Consiglio dei Ministri, tenutasi lo scorso 3 settembre e il dietrofront governativo che congela la normativa. Tale decisione è stata giustificata dal solito "errore tecnico" del legislatore italiano che ha disciplinato aspetti doganali di esclusiva competenza comunitaria.
Imprenditori e artigiani che avevano votato PdL e Lega sperando in una difesa dei loro interessi e del loro lavoro messo in crisi dal dumping cinese sono serviti.
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