Due settimane fa, il 21 di agosto, ho compiuto 64 anni. E’ cominciato per me l’ultimo anno scolastico prima della pensione. L’ultimo giro di boa, il più duro e faticoso (quello controvento) che conclude tutte le regate. Ho tirato fuori dal cassetto il mio antico libretto di lavoro, la data sulla copertina è 12 ottobre 1961. Da mezzo secolo insomma mi guadagno da vivere. Ho iniziato a lavorare come apprendista tipografo in una piccola bottega artigiana di Porta Garibaldi a Milano. Si chiamava “Arte e stampa”. Da allora ho cambiato decine di posti di lavoro, ma mi sembra di avere sempre fatto lo stesso mestiere a stretto contatto con la carta stampata. Tipografo, fotografo, editore, fotoreporter, giornalista, comunicatore.
E’ stata una lunga cavalcata nel tempo quella dal dopoguerra alla globalizzazione. Sono stanco e mi merito le tre “c”: carezze, caldo, comodo, ma non so se riuscirò ad ottenerle tra 12 mesi. La mia vita sempre poco allineata mi costringerà a continuare a sbattermi e non potrò fare quello che predicano le religioni antiche: da 0 a 20 anni sei giovane, da 20 a 40 combattente, da 40 a 60 padre di famiglia, da 60 in poi appartieni solo a te stesso. Non sarà così, temo purtroppo che il mio destino sarà simile a quello di Purun Bhagat. Il personaggio del racconto di Kipling, funzionario dell’impero britannico che dopo aver compiuto i 60 anni, abbandona tutto, indossa la veste del sannyasi e cerca di disperdersi nella immensità polverosa delle strade indiane. Raggiunge le montagne dove prova inutilmente a staccarsi dal suo corpo con la solitudine e l’ascesi ritirandosi in un tempietto di Kali. Ma quando è prossimo alla fine, richiamato dagli animali selvatici con i quali vive, la scimmia, l’orso e il cervo, sarà costretto ancora una volta a scendere a valle per salvare una piccola comunità minacciata da una terribile frana. Fino all’ultimo egli dovrà servire il suo popolo e solo dopo aver compiuto l’estremo dovere potrà dissolversi nel vento e nella luce. Bella immagine vero? Ma adesso basta malinconie. Bisogna stringere le vele al vento e disporsi alla bolina, all'ultima corvée.
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