sabato 15 maggio 2010

L'Italia criminale che trasforma il bene in male

L’Italia è un paese che non riesco a sentire davvero mio. Se fossi giovane me ne andrei di corsa in un altro continente, come minimo in California. Perché? La ragione è sconsolante. Questo Paese riesce a trasformare ogni cosa, soprattutto se buona e virtuosa, in un malaffare. Prima la contrasta, poi la fagocita e la riduce a sterco. Deve essere nella natura degli italiani che vivono in Italia. Non so darmi altra spiegazione.  La vicenda che mi deprime è quella del business eolico in cui sono coinvolti amministratori locali, politici, mafia, n’drangheta, ecc. Il solito made in Italy criminale di cui non ci si riesce a liberare è riuscito a trasformare anche le energie pulite in una cosa sporca. Questa cosa mi riempie di malinconia perché 15 anni fa ho dedicato molto tempo e molto lavoro allo sviluppo e all’applicazione delle tecnologie eoliche frutto della ricerca e dell’industria italiane e alla diffusione della produzione di energia dal vento. Quindici anni fa un’azienda di Bologna, famosa nel settore delle energie rinnovabili (idroelettrico), la Riva Calzoni, che mi chiamò a collaborare al suo progetto di diffusione dell’eolico in Italia (nella foto la centrale di Collarmele).
Il mio compito era la comunicazione e la promozione di progetti che l’azienda con a capo Guido Ucelli (discendente dell’ingegnere che svuotò il lago di Nemi recuperando le navi di Caligola e che fu promotore del Museo della Scienza e della Tecnica di Milano) aveva deciso di realizzare nel subappennino Dauno in provincia di Foggia. Accettai con piacere l’incarico perché si trattava di realizzare in Italia il sogno di ricavare energia pulita dal vento come facevano in Danimarca e Germania da anni, facendo nascere soprattutto una nuova industria capace di produrre tecnologie eoliche italiane che ci avrebbero consentito di entrare in un nuovo mercato mondiale.

L’azienda bolognese infatti finanziata in parte dallo Stato aveva brevettato e sviluppato un originale modello di aerogeneratore di media taglia (250-500 kw) che sembrava molto promettente e più adatto, grazie alle dimensioni ridotte e alle caratteristiche costruttive, al regime ventoso dei nostri campi eolici. Sulla base del programma energetico nazionale l’Enel gli aveva allora affidato concessioni nella Daunia per una potenza installata di 400 megawatt e l’azienda stava presentando nei paesi e nelle cittadine pugliesi il suo progetto attorno al quale sperava di consolidare il consenso popolare. L’idea di Ucelli era di costruire piccole centrali locali (da 5-10 megawatt) di proprietà dei singoli Comuni che nel giro di 30 anni le avrebbero ammortizzate distribuendo ai cittadini azionisti annualmente dividendi superiori a quelli dei titoli di Sato grazie alla vendita dell’energia all’Enel con tariffe incentivate dal Cip6. Era un’idea troppo virtuosa, democratica e illuminata per funzionare e infatti non funzionò. Le comunità locali la respinsero sostanzialmente preferendo lasciare ai privati l’onere della costruzione e gestione delle centrali, in cambio di pochi soldi subito sotto forma di affittanze di terreni e royalties sulla produzione. Nel frattempo sbarcarono in Italia i costruttori danesi, leader mondiali delle tecnologie, e il governo Prodi al posto di sostenere l’industria nazionale che aveva già creato tecnologie italiane, preferì fare un accordo con loro e regalargli 5-600 megawatt di concessioni energetiche in cambio del salvataggio di una piccola azienda decotta di Finmeccanica (80 dipendenti a Taranto). La Riva Calzoni di fronte a questa scelta di “politica industriale”, capì che non avrebbe potuto continuare perché la svendita agli operatori leader mondiali del settore dei nostri campi eolici e del nostro mercato interno delle tecnologie ai loro prodotti, avrebbe impedito ogni possibile sviluppo di un’industria nazionale. Così Guido Ucelli vendette tutto, azienda, centrali già costruite e concessioni, la società uscì dalla Borsa, venne smembrata e la famiglia si trasferì armi e bagagli in Perù dove aveva altre attività di tipo industriale ed economico.
Io che con lui avevo condiviso l’avventura che ci aveva dato la soddisfazione di inaugurare tra l’altro la prima grande centrale eolica pubblica di proprietà dell’Enel (11 megawatt) a Collarmele (Aq) nel 1997, rimasi deluso e ferito da quel fallimento di un’impresa alla quale avevo creduto e sulla quale avevo a mia volta investito, energie, intelligenza, impegno professionale e passione civile. Oggi leggere la notizie degli scandali e delle indagini giudiziarie legate all’eolico mi rattrista molto e mi fa dire ai giovani innovatori: andatevene, questo è un paese per vecchi, dove non si può costruire niente, ma solo tornare da ricchi signori a comprarsi una tenuta in Toscana dove invecchiare serenamente, coltivando olio fruttato e badando che ai grappoli da cui si spreme il vino il sole di settembre aggiunga l’ultima dolcezza.

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